Senato 2026, partita aperta: i Democratici possono farcela?
Nonostante una mappa difficile e la necessità di quattro conquiste, secondo Nate Silver alcune dinamiche favorevoli rendono possibile una rimonta democratica al Senato nel 2026
I Democratici non partono da una posizione disperata in vista delle elezioni di metà mandato del 2026 al Senato. Lo sostiene lo statistico Nate Silver nella sua newsletter. Nonostante i Repubblicani abbiano attualmente 53 seggi contro i 47 democratici, e nonostante il partito dell’opposizione debba difendere degli Stati conservatori conquistare quattro nuovi seggi per ottenere la maggioranza, il quadro politico ha diversi elementi che potrebbero giocare a favore dei Democratici.
Una delle condizioni principali per raggiungere questo obiettivo è riuscire a conservare tutti i seggi attualmente in mano al partito. Tra questi, spicca la Georgia, dove il senatore uscente Jon Ossoff dovrà difendere il proprio posto. Un segnale incoraggiante è arrivato con l’annuncio del governatore repubblicano Brian Kemp, che ha deciso di non candidarsi al Senato, togliendo così un potenziale avversario competitivo. Ma la vera sfida si gioca altrove: servono almeno quattro conquiste, il che implica vincere in Stati dove i Repubblicani partono con un vantaggio strutturale.
Secondo Silver, ci sono margini per ribaltare la situazione, a patto che i Democratici riescano a candidare figure credibili in territori ostili e a sfruttare un contesto politico potenzialmente favorevole. In base ai dati raccolti dal 1994 in poi, il partito alla Casa Bianca ha perso in media 4,4 punti nel voto popolare per la Camera. Applicando questa dinamica all’attuale livello di approvazione del presidente Donald Trump (45%), si otterrebbe un vantaggio stimato di 5,4 punti per i Democratici nel voto popolare del 2026.

Questa stima potrebbe salire ulteriormente in presenza di una recessione, possibilità che Silver considera ancora sul tavolo, pur con probabilità in calo grazie all’allentamento della linea protezionista da parte di Trump. Anche in assenza di una crisi economica conclamata, il solo effetto della polarizzazione e della forte motivazione dell’elettorato democratico — in particolare quello istruito e urbano — potrebbe garantire un’affluenza superiore alla media.
Secondo le simulazioni elaborate da Silver, in uno scenario con un vantaggio nazionale di circa 6,5 punti per i Democratici, Stati come Georgia e North Carolina diventerebbero tendenzialmente favorevoli al partito. Più difficile, ma non impossibile, sarebbe ottenere vittorie anche in Stati come Florida, Ohio, Texas, Iowa e Alaska, che pur restando tendenzialmente repubblicani rientrerebbero nella categoria delle sfide contendibili, a patto di presentare candidati competitivi e approfittare di eventuali debolezze del GOP.
L’analisi individua alcuni casi concreti in cui i Democratici potrebbero costruire una rimonta. In Ohio, Sherrod Brown ha perso nel 2024 con uno scarto di soli 3,6 punti. In Alaska, Mary Peltola ha sfiorato la vittoria nella corsa per la Camera, perdendo di soli 2,4 punti dopo il ricalcolo del voto tramite ranked choice. In Montana, Jon Tester è stato sconfitto di 7,1 punti. In Texas, Colin Allred ha perso contro Ted Cruz per 8,5 punti, ma potrebbe riprovarci in un contesto più favorevole. Anche Dan Osborn in Nebraska (–6,7 punti) e Jared Moskowitz in Florida, che ha sovraperformato rispetto al ticket presidenziale democratico, sono esempi di candidati potenzialmente competitivi.

Secondo Silver, la qualità dei candidati conta meno rispetto al passato, a causa della crescente polarizzazione elettorale, ma resta comunque un fattore determinante in Stati non solidamente allineati a uno dei due partiti. Inoltre, anche se alcuni di questi candidati partirebbero da sfavoriti, la sola possibilità di avvicinare il margine potrebbe contribuire a ridisegnare l’equilibrio in vista del 2028, quando la corsa alla Casa Bianca potrà offrire ulteriori opportunità.
Infine, il contesto politico potrebbe evolversi ulteriormente nei prossimi mesi. Siamo a meno di quattro mesi dall’inizio del secondo mandato di Trump, e già emergono segnali di vulnerabilità sul piano dell’approvazione. La decisione di Kemp di non candidarsi potrebbe essere sintomatica di un momento di debolezza per il partito repubblicano, almeno in alcune aree.