Dem alla ricerca di un leader: la “chatter primary” anticipa le manovre per il 2028
Tra dichiarazioni allusive, tour nei primi Stati delle primarie e nuovi podcast, si moltiplicano i segnali di interesse per la corsa alla Casa Bianca tra le fila democratiche. Ma mancano idee nuove e un leader riconosciuto.

Il Partito Democratico americano si trova già immerso in un’atipica e precoce fase pre-elettorale, battezzata da alcuni osservatori come chatter primary, la primaria del chiacchiericcio. Come spiega il New York Times, si tratta di quel periodo iniziale in cui i possibili candidati alla presidenza testano le acque tra interviste, apparizioni pubbliche e visite negli Stati chiave, pur senza annunciare ufficialmente la propria candidatura.
Il governatore del Kentucky Andy Beshear ha affermato che “prenderebbe in considerazione” una candidatura. Il governatore del Minnesota Tim Walz, già candidato vicepresidente nel 2024, ha detto che farebbe “qualsiasi cosa serva” se gli venisse chiesto di candidarsi. Il senatore dell’Arizona Ruben Gallego ha eluso la domanda sulle sue intenzioni presidenziali parlando della nascita imminente del suo terzo figlio, salvo poi aggiungere: “I bambini crescono”.
Anche Pete Buttigieg, già segretario ai trasporti e candidato nel 2020, ha partecipato a un incontro in Iowa, tradizionale primo Stato delle primarie, dichiarando: “Non sto correndo per nulla, al momento. Ma significa molto sapere che chi mi ha sostenuto allora continua a credere in ciò che ho da dire”.
L’elenco dei potenziali candidati, compilato dagli addetti ai lavori, conta almeno 19 nomi, tra governatori, senatori, deputati, ex funzionari dell’amministrazione Biden e persino imprenditori. Molti di loro hanno già intrapreso tour pubblici, partecipato a incontri locali in Stati lontani da casa e concesso interviste in cui lasciano trapelare l’intenzione di correre nel 2028.
Eppure, a questo stadio primordiale, gran parte del dibattito interno al partito ruota attorno a problematiche annose: come riconquistare l’elettorato della classe operaia, come contrastare efficacemente il presidente Trump, e come raggiungere fasce di popolazione che sfuggono ai media tradizionali. Le “nuove idee”, invocate da molti commentatori per ridare slancio al partito, latitano. I leader democratici emergenti sembrano puntare più su nuovi podcast che su nuove politiche.
Secondo Adrienne Elrod, stratega del partito con esperienza in quattro campagne presidenziali che ha parlato con il Times, “è un’opportunità per i Democratici di entusiasmarsi per una nuova rosa di nomi. Abbiamo una panchina profonda pronta a entrare in gioco, e credo che un dibattito vivace e una primaria robusta saranno un’ottima cosa per il nostro partito”.
A differenza delle ultime quattro primarie democratiche, non c’è un favorito evidente: nessun vicepresidente in carica, nessun presidente, né un candidato passato in attesa di un nuovo tentativo. Kamala Harris, già vicepresidente sotto Biden, sembra orientata a candidarsi come governatrice della California, prospettiva che escluderebbe una nuova corsa alla Casa Bianca.
Di conseguenza, molti esponenti del partito si stanno ritagliando visibilità nazionale, anche solo per accumulare capitale politico. È il caso, ad esempio, dei governatori JB Pritzker (Illinois), Wes Moore (Maryland), Josh Shapiro (Pennsylvania) e Tim Walz, tutti potenziali candidati presidenziali ma anche probabili partecipanti alle elezioni per la rielezione nei rispettivi Stati nel 2026.
Lo stesso Pritzker, intervistato lo scorso mese, ha dribblato le domande sulla Casa Bianca affermando che “dovremmo concentrarci sulla riconquista della Camera” nelle prossime elezioni di medio termine. Walz, invece, sta incontrando donatori in varie tappe negli Stati Uniti, ma ha raccolto fondi solo per un conto destinato alla rielezione da governatore, non per una campagna presidenziale federale.
L’anticipazione del dibattito presidenziale — a soli mesi dalla sconfitta del 2024 — ha colto di sorpresa anche alcuni veterani del partito. Jerry Brown, tre volte candidato alla presidenza e già governatore della California, ha spiegato che questo “inizio insolitamente precoce” è dovuto al desiderio, da parte della base democratica, di un’opposizione più esplicita contro un presidente percepito come “corrotto” e pericoloso per la democrazia.
Tra coloro che si sono espressi con maggiore chiarezza vi è Gina Raimondo, ex governatrice del Rhode Island, che durante un evento all’Institute of Politics dell’Università di Chicago ha risposto affermativamente alla domanda su una sua possibile candidatura. “Se penso di poter servire ancora in modo importante, anche candidandomi, lo farò”, ha detto.
Anche Rahm Emanuel, ex sindaco di Chicago e ambasciatore durante l’amministrazione Biden, ha ironizzato sulla possibilità di candidarsi: “Sono in allenamento, ma non so se farò le Olimpiadi”, ha detto nel corso del programma The View.
Il senatore Gallego ha ammesso che l’idea gli è “ovviamente” passata per la testa. “Sono un eletto, mi viene in mente. Ma ci sto pensando in questo momento? Assolutamente no.”
Altri esponenti, pur restando nell’orbita dei papabili, si sono tenuti lontani dalla speculazione pubblica. È il caso della governatrice del Michigan Gretchen Whitmer, dei senatori Amy Klobuchar (Minnesota) e Raphael Warnock (Georgia). Il loro profilo è già sufficientemente noto da non necessitare dichiarazioni esplicite.
L’imprenditore Mark Cuban ha invece confidato ad alcuni conoscenti che potrebbe considerare una candidatura solo nel caso in cui Trump tentasse un incostituzionale terzo mandato, e solo se ritenesse di poterlo battere.
Nel frattempo, ogni movimento viene analizzato con attenzione. Beshear ha ingaggiato Lauren Hitt, già nella squadra di Kamala Harris, per migliorare la sua immagine nei media nazionali. Gavin Newsom, governatore della California, sta cercando di moderare il proprio profilo ideologico rivedendo le sue posizioni sull’immigrazione e ospitando esponenti del movimento MAGA nel suo podcast.
Altri senatori come Cory Booker (New Jersey) e Chris Murphy (Connecticut) puntano invece a rafforzare la propria presenza online con contenuti virali. Alexandria Ocasio-Cortez (New York) e Ro Khanna (California), deputati progressisti, hanno organizzato incontri in Stati in bilico come parte di una strategia per accrescere la propria visibilità nazionale.
Numerosi aspiranti candidati stanno anche sondando il terreno tra i donatori. Beshear e Newsom, ad esempio, hanno partecipato a un evento organizzato da Future Forward, il super PAC che aveva sostenuto Biden e poi Harris.
Altri, come Moore e Walz, interverranno a breve a un incontro dei Democratici in South Carolina, Stato che svolge da tempo un ruolo cruciale nelle primarie.
Tuttavia, non mancano gli avvertimenti. John Delaney, ex deputato del Maryland che annunciò con largo anticipo la sua candidatura nel 2017 per poi ritirarsi prima del caucus dell’Iowa, ha lanciato un monito: “Il mio consiglio è di non fare quello che ho fatto io. Non solo perché non ha funzionato per me, ma perché ora ci sono prove che mostrare troppo entusiasmo troppo presto non funziona.”