Trump parla di “piccoli progressi” sull'Ucraina, ma Putin rilancia sull’annessione dei territori occupati
Il presidente degli Stati Uniti ha commentato la guerra in Ucraina e la crisi in Medio Oriente durante una conferenza stampa. Il leader del Cremlino definisce l’Ucraina “nostra” e avanza nuove condizioni per la fine del conflitto.
Il presidente Donald Trump ha dichiarato di star vedendo dei “piccoli progressi” nei negoziati tra Russia e Ucraina, pur in un contesto segnato da forti tensioni e nuove minacce territoriali da parte del Cremlino. Durante una conferenza stampa tenuta in New Jersey e trasmessa da Fox News, il presidente ha ribadito la sua posizione favorevole alla pace, precisando: “A volte bisogna mostrare fermezza, pur rimanendo pacificatori”. Le sue parole sono giunte poco dopo un discorso di Vladimir Putin al Forum Economico Internazionale di San Pietroburgo, in cui il presidente russo ha rivendicato l’Ucraina come parte integrante della Russia e ha ipotizzato l’ulteriore espansione militare con la conquista della città di Sumy.
Trump ha affrontato anche il tema della crisi in Medio Oriente, ponendo un ultimatum all’Iran per la conclusione di un accordo sul programma nucleare. “Do loro un periodo di tempo determinato. Vedremo quale sarà. Ma direi che due settimane sono il massimo”, ha affermato, senza chiarire se allo scadere del termine gli Stati Uniti interverranno militarmente nel conflitto tra Israele e Iran.
Le affermazioni di Putin nel suo intervento a San Pietroburgo hanno confermato la linea espansionistica già emersa nelle precedenti fasi del conflitto. Il presidente russo ha descritto russi e ucraini come “un solo popolo” e ha definito l’Ucraina “nostra”, sottolineando una continuità storica e culturale che, secondo lui, giustificherebbe l’integrazione forzata del paese nel territorio russo. Ha inoltre evocato la possibilità di occupare la città di Sumy, situata nel nord-est dell’Ucraina, richiamandosi a una “antica regola” secondo cui “dove mette piede il soldato russo, quello è nostro”.
Nonostante le dichiarazioni ufficiali sulla disponibilità a negoziare, il discorso di Putin è stato accompagnato da richieste che, di fatto, equivalgono a una capitolazione ucraina. In un’intervista concessa a Sky News Arabia, il leader del Cremlino ha elencato tre condizioni principali per la cessazione delle ostilità: la rinuncia da parte di Kiev all’adesione a qualsiasi alleanza internazionale, l’abbandono definitivo dell’ambizione di dotarsi di armi nucleari e il riconoscimento dei risultati dei referendum organizzati dalla Russia nei territori occupati.
Queste richieste implicherebbero una compromissione sostanziale della sovranità ucraina. In particolare, la rinuncia alla libertà di alleanze internazionali e la legittimazione di consultazioni non riconosciute dalla comunità internazionale limiterebbero la capacità dell’Ucraina di definire autonomamente la propria politica estera e di sicurezza. Inoltre, le condizioni proposte contraddicono l’affermazione secondo cui Mosca non cercherebbe la resa di Kiev, alimentando i dubbi sulla reale volontà russa di negoziare una fine equa e sostenibile del conflitto.
La reazione del governo ucraino non si è fatta attendere. Il ministro degli Esteri Andrey Sibiga ha accusato Putin di dimostrare “completo disprezzo per gli sforzi degli Stati Uniti volti a porre fine alla guerra”. Secondo Sibiga, le dichiarazioni del presidente russo confermano l’intenzione di proseguire le operazioni militari e rivelano l’assenza di un autentico impegno negoziale da parte del Cremlino. L’approccio russo, ha sottolineato Sibiga, smentisce nei fatti ogni possibilità di negoziato costruttivo.