Pil frena negli Stati Uniti: -0,3% nel primo trimestre del 2025, pesa l’effetto dazi
La contrazione del Pil statunitense riflette l’impennata delle importazioni nel tentativo delle imprese di anticipare i dazi voluti dal presidente Trump. Aumenta l’incertezza, rallenta la spesa dei consumatori, sale la pressione sulla Federal Reserve.

L’economia statunitense si è contratta dello 0,3% nel primo trimestre del 2025. È quanto emerge dal report del Commerce Department, che registra per la prima volta un calo in tre anni nonostante gli analisti si attendessero crescita dello 0,3%.
A pesare sul Pil è stato principalmente l’incremento delle importazioni, cresciute del 41,3% nei primi tre mesi dell’anno. Le aziende hanno infatti anticipato l’acquisto di beni esteri per evitare gli effetti dei nuovi dazi, entrati in vigore in modo parziale nel primo trimestre e poi aumentati in modo consistente nel secondo. Questo fenomeno ha causato un forte contributo negativo delle esportazioni nette, che hanno sottratto ben 4,83 punti percentuali alla crescita complessiva.
Secondo l’economista Shannon Grein di Wells Fargo che ha parlato con il Wall Street Journal, “il calo principale sovrastima la debolezza dell’economia, poiché in larga parte è dovuto a un anticipo delle importazioni indotto dai dazi”. Grein ritiene quindi che, al netto dell’effetto dazi, la domanda interna resti solida.
Il trimestre in questione è stato caratterizzato da eventi climatici estremi, tra cui incendi a Los Angeles e tempeste invernali in diverse aree del Paese. Inoltre, ha segnato il passaggio di consegne tra l’amministrazione Biden e quella Trump, insediatasi ufficialmente il 20 gennaio.
L’indicatore che misura la domanda interna effettiva—le vendite finali ai compratori privati nazionali—ha registrato una crescita del 3% su base annua, suggerendo una tenuta dell’economia di fondo. Tuttavia, la spesa dei consumatori è rallentata, passando dal +4% dell’ultimo trimestre del 2024 al +1,8% nei primi tre mesi del 2025. La componente degli investimenti aziendali ha invece mostrato segnali positivi, con un aumento del 9,8% nella spesa in software, ricerca e sviluppo, attrezzature e costruzioni.
Sebbene l’anno fosse iniziato con segnali incoraggianti—crescita costante, inflazione in calo, disoccupazione stabile al 4,1% e 456.000 nuovi posti di lavoro nel primo trimestre—le incertezze legate alla politica commerciale hanno alimentato preoccupazioni diffuse tra imprese e cittadini. Gli investitori hanno reagito con preoccupazione: S&P 500 e Nasdaq hanno chiuso il peggior trimestre dal 2022.
Anche il comportamento dei consumatori è stato influenzato dalla prospettiva di un aumento dei prezzi: molti hanno anticipato gli acquisti, come nel caso delle vendite di automobili, salite a marzo. Secondo Diane Swonk, capo economista di KPMG, “chi può, anticipa gli acquisti per evitare i dazi, ma questo significa sottrarre domanda al futuro”. Tali acquisti “di panico” finiscono per ridurre la crescita, poiché le importazioni incidono negativamente nel calcolo del Pil.
Questa dinamica pone la Federal Reserve davanti a un dilemma. Il rischio di un’inflazione al rialzo causata dai dazi, unito al rallentamento dell’attività economica, complica le decisioni di politica monetaria. Il presidente della Fed, Jerome Powell, ha dichiarato a metà aprile che è “fortemente probabile” un aumento dei prezzi e un incremento della disoccupazione nel breve termine. Questo scenario rende difficile l’azione della banca centrale: un aumento dei tassi per contenere l’inflazione potrebbe aggravare la disoccupazione, mentre un taglio rischierebbe di alimentare ulteriormente la corsa dei prezzi.