Paramount pronta a un accordo con Trump per fermare la causa
La causa per un’intervista a Kamala Harris scatena uno scontro tra il presidente e il programma giornalistico. Paramount valuta una risoluzione extragiudiziale, ma lo staff insorge.

Gli avvocati del presidente Donald Trump e di Paramount, la società madre di CBS News, inizieranno una mediazione nel contesto della causa intentata dal presidente contro 60 Minutes. Il programma è accusato di aver modificato in maniera manipolativa un’intervista con Kamala Harris, candidata democratica alle elezioni del 2024. La causa, definita da vari esperti legali come infondata, potrebbe però chiudersi con un accordo: Paramount si è presentata ai colloqui pronta a una soluzione extragiudiziale.
Secondo tre persone a conoscenza delle discussioni interne, il consiglio di amministrazione di Paramount ha definito il 18 aprile i parametri economici entro cui ritiene accettabile un possibile accordo con Trump. Gli importi precisi non sono noti, ma la definizione di un perimetro finanziario indica la volontà dell’azienda di evitare uno scontro giudiziario prolungato.
Shari Redstone, azionista di controllo di Paramount, ha espresso il proprio sostegno a una rapida conclusione della causa. Il suo interesse è anche legato alla vendita in corso della società a Skydance, studio cinematografico di Hollywood, operazione che richiede l’approvazione dell’amministrazione Trump.
Questa apertura verso un accordo ha creato forte malcontento all’interno della redazione di CBS News, in particolare tra i membri di 60 Minutes, il programma di informazione più seguito negli Stati Uniti. Solo quattro giorni dopo la riunione del consiglio, il produttore esecutivo del programma, Bill Owens, ha rassegnato improvvisamente le dimissioni. In una nota interna, ha parlato di “interferenze nell’indipendenza giornalistica” e ha dichiarato che “Paramount ha finito con me”.
Le dimissioni di Owens hanno colpito duramente l’ambiente dei media, già provato da una serie di attacchi retorici e legali del presidente Trump. L’attuale inquilino della Casa Bianca ha intrapreso azioni legali contro emittenti televisive, ha minacciato di revocare licenze di trasmissione e ha escluso giornalisti di testate critiche da eventi ufficiali.
Un precedente significativo risale a dicembre, quando ABC News, di proprietà della Walt Disney Company, ha versato 16 milioni di dollari per chiudere un contenzioso per diffamazione avviato da Trump. Anche in quel caso, numerosi esperti avevano giudicato la causa priva di fondamento. Quell’accordo ha però aperto la strada a ulteriori intese tra Trump e prestigiosi studi legali e università.
All’interno di 60 Minutes, Owens aveva già segnalato nei mesi scorsi una crescente pressione da parte dei vertici aziendali. A gennaio, Redstone si era lamentata con i dirigenti CBS per un segmento sulla guerra tra Israele e Hamas. Successivamente, un dirigente veterano di CBS News è stato incaricato di esaminare in anticipo i servizi di 60 Minutes relativi al Medio Oriente o all’amministrazione Trump.
Sebbene nessun servizio sia stato direttamente cancellato a seguito di queste revisioni, Owens aveva manifestato il timore che tali controlli rappresentassero “un pendio davvero scivoloso” per l’indipendenza editoriale. 60 Minutes ha storicamente goduto di un’autonomia particolare rispetto al resto della divisione news di CBS, un tratto distintivo che Owens aveva cercato di preservare.
Le tensioni si sono ulteriormente intensificate il 13 aprile, quando 60 Minutes ha trasmesso due servizi: uno sui tentativi di Trump di acquistare la Groenlandia e l’altro su uno scontro avvenuto nello Studio Ovale con il presidente ucraino Volodymyr Zelensky. La reazione del presidente è stata immediata: in un post sui social media ha affermato che 60 Minutes, CBS e Paramount dovrebbero essere puniti “per il loro comportamento illegale”.