Israele colpisce i siti nucleari iraniani: la guerra che può cambiare l'equilibrio regionale
Con l'operazione militare in corso, Netanyahu punta a fermare la bomba atomica di Teheran, ma gli esperti avvertono: "La distruzione completa del programma nucleare è impossibile". L'Iran potrebbe finire per uscire dal Trattato di Non Proliferazione.

L'attacco israeliano contro l'Iran, iniziato nella notte tra il 12 ed il 13 giugno, ha già segnato una svolta storica in Medio Oriente. Israele ha colpito direttamente i siti nucleari iraniani con l'obiettivo dichiarato dal primo ministro Benjamin Netanyahu di impedire a Teheran la creazione di armi atomiche. Ma secondo gli esperti occidentali, Israele difficilmente raggiungerà questo obiettivo senza il pieno coinvolgimento degli Stati Uniti. Anzi potrebbe alla fine ottenere l'effetto contrario e spingere l'Iran a uscire definitivamente dal Trattato di Non Proliferazione nucleare.
Le perdite del comando iraniano
Israele ha concentrato i suoi primi attacchi sull'eliminazione della leadership militare iraniana, nel più grave colpo mai inferto sinora al comando delle Forze Armate della Repubblica Islamica dell'Iran. Tra le vittime confermate figurano il capo di Stato Maggiore Mohammad Bageri, il comandante del Corpo delle Guardie della Rivoluzione Islamica Hussein Salami, il comandante dell'unità Al-Quds Esmail Qaani (la cui morte ancora non è stata confermata) ed il capo della base Khatam, generale maggiore Golamali Rashid. Si tratta delle perdite più rilevanti di quadri dirigenti nella storia dell'Iran post-rivoluzionario.
Parallelamente, gli attacchi hanno preso di mira anche sistemi di difesa antiaerea, basi missilistiche e impianti di lancio di missili balistici. L'Iran è riuscito comunque a organizzare una prima dura risposta, colpendo il quartiere del Ministero della Difesa israeliano a Tel Aviv, dimostrando così che le sue capacità di reazione, seppur indebolite, non sono state completamente neutralizzate.
I siti nucleari nel mirino
Per quanto riguarda l'infrastruttura nucleare, i danni appaiono più limitati ma significativi. Nel complesso di Natanz, il più grande impianto di arricchimento dell'uranio del Paese, Israele è riuscito a distruggere completamente l'impianto pilota situato in superficie, dotato di centinaia di centrifughe a gas, incluse quelle capaci di arricchire l'uranio fino al 60% di isotopo U-235. È stato inoltre eliminato il complesso per la produzione di fluoruro di uranio, materia prima essenziale per l'arricchimento.
Tuttavia, secondo le verifiche dell'Agenzia Internazionale per l'Energia Atomica (IAEA), i siti sotterranei non hanno subito danni visibili. Il complesso sotterraneo di Natanz e quello in costruzione all'interno della montagna adiacente sembrano intatti, così come l'impianto chiave di Fordow, situato a decine di metri di profondità nella provincia di Qom, dove si concentra la produzione di materiali ad alto arricchimento.
L'Iran a un passo dalla bomba
Il tempismo dell'attacco israeliano trova giustificazione nei dati allarmanti diffusi dall'IAEA, secondo cui l'Iran ha accumulato quantità di materiale arricchito sufficienti per produrre nove bombe nucleari. Negli ultimi due anni, Teheran ha incrementato l'arricchimento dell'uranio fino al 70% di contenuto dell'isotopo U-235, avvicinandosi pericolosamente alla soglia dell'85-90% necessaria per uso militare.
La situazione attuale rappresenta il culmine di un percorso iniziato nel 2018, quando la prima Amministrazione Trump decise di uscire unilateralmente dall'accordo nucleare del 2015. Quel patto, noto come "Piano d'azione globale congiunto" (JPCOA), sottoscritto dalla precedente Amministrazione Obama, aveva imposto all'Iran di non superare il 3,67% di arricchimento dell'uranio per scopi civili in cambio dell'alleggerimento delle sanzioni. L'uscita americana dall'accordo portò Teheran ad abbandonare progressivamente gli impegni assunti, pur pur rimanendo formalmente nel Trattato di Non Proliferazione nucleare.
Trasformazioni interne dell'Iran
L'attacco israeliano sta già innescando cambiamenti profondi all'interno della Repubblica Islamica. L'eliminazione dei vertici militari ha costretto la Guida Suprema Ali Khamenei ad intraprendere una rapida riorganizzazione delle Forze Armate, con il rischio di radicalizzazione dei nuovi quadri dirigenti, che potrebbero essere ancora più aperti allo scenario di un Iran nucleare. La tradizione sciita del martirio è stata già invocata per trasformare quella che potrebbe apparire a prima vista come una disfatta militare in un'epopea eroica.
Secondo l'analisi dell'orientalista Nikita Smagin, se costretta, l'Iran potrebbe anche tornare ai metodi terroristici degli anni Ottanta e Novanta, quando utilizzava attentatori suicidi, sequestri di ostaggi e attacchi alle Ambasciate. "L'arma dei deboli è tradizionalmente il terrorismo nelle sue varie manifestazioni", osserva Smagin, che definisce il 13 giugno "l'evento più importante nella storia della Repubblica Islamica del XXI secolo".
Le limitazioni militari di Israele ed il rischio di escalation nucleare
Darya Dolzhikova, ricercatrice senior del Royal United Services Institute (RUSI) specializzata nella politica nucleare iraniana, afferma che "la distruzione completa del programma nucleare iraniano con mezzi militari è impossibile". L'Iran dispone, infatti, di numerosi siti distribuiti su tutto il territorio nazionale, molti dei quali protetti da strutture sotterranee che Israele non ha la capacità tecnica di penetrare.
Per colpire i siti più protetti come Fordow ed il complesso in costruzione sotto la montagna di Natanz, sarebbero, infatti, necessarie bombe bunker-buster come i Massive Ordnance Penetrator americani da 13 tonnellate, trasportabili solo dai bombardieri B-52 o B-2 di cui però Israele non dispone.
"Anche se Israele riuscisse a distruggere fisicamente tutta l'infrastruttura nucleare iraniana, nel Paese rimarrebbe un considerevole know-how scientifico", spiega Dolzhikova.
"La questione fondamentale è: quanto lontano vuole Israele far arretrare il programma nucleare iraniano? E quanto forte è la motivazione dell'Iran a ripristinare gli elementi chiave del suo programma nucleare?"
La risposta iraniana agli attacchi potrebbe paradossalmente finire per accelerare lo sviluppo di armi nucleari da parte iraniana. Il governo della Repubblica Islamica ha già lasciato intendere che proprio gli attacchi israeliani dimostrano il diritto del Paese a possedere tecnologie nucleari. L'uscita dal Trattato di Non Proliferazione, sul modello della Corea del Nord nel 2003, rappresenta ora uno scenario sempre più concreto.
"Dopo l'attacco di Israele ai siti nucleari, la decisione politica potrebbe cambiare", avverte Dolzhikova.
"Le autorità iraniane potrebbero ritenere che l'unico modo affidabile per scoraggiare ulteriori attacchi sia proprio quello di completare lo sviluppo di armi nucleari."
Gli scenari futuri
La guerra in corso presenta, quindi, due possibili principali esiti secondo gli analisti: o Israele, con o senza il supporto americano, è in grado di costringere l'Iran ad abbandonare il proprio programma nucleare, oppure Teheran finirà presto per acquisire proprio quello status di potenza nucleare tanto agognato dai falchi a Teheran, che cambierebbe radicalmente l'equilibrio dei poteri in Medio Oriente.
L'operazione israeliana, che secondo fonti occidentali dovrebbe durare fino a quattordici giorni, mira a creare condizioni tali da rendere l'Iran incapace di resistere militarmente, costringendolo ad accettare un accordo nucleare alle condizioni dell'Amministrazione Trump.
Tuttavia, se l'Iran dovesse riuscire a resistere agli attacchi, le conseguenze potrebbero essere l'opposto di quelle desiderate: l'accelerazione verso l'acquisizione di armi nucleari ed una destabilizzazione regionale senza precedenti. La posta in gioco rischia così di andare ben oltre il Medio Oriente, coinvolgendo l'intero regime di non proliferazione nucleare globale.