Trump e i nuovi dazi sull’auto: l’industria americana e migliaia di posti di lavoro a rischio
Un’eventuale tassa del 25% sulle importazioni automobilistiche metterebbe in difficoltà le filiere integrate del settore in Nord America, con forti ricadute su prezzi, occupazione e produzione.

La decisione dell’ex presidente Donald Trump di introdurre a partire dal 3 aprile dazi del 25% sui veicoli importati negli Stati Uniti sta generando crescente preoccupazione per il settore automobilistico. L’iniziativa, che mira a penalizzare la concorrenza estera e a incentivare la produzione nazionale, potrebbe invece avere effetti controproducenti, rallentando l’industria, aumentando i costi e mettendo a rischio centinaia di migliaia di posti di lavoro.
Il funzionamento dell’industria automobilistica in Nord America si basa su catene di produzione profondamente integrate tra Stati Uniti, Canada e Messico, sin dall’entrata in vigore dell’accordo di libero scambio NAFTA nel 1994, poi aggiornato nel 2020 con l’accordo ACEUM (USMCA). Le componenti di un singolo veicolo attraversano spesso più volte le frontiere nordamericane prima di essere assemblate definitivamente. Secondo un'analisi di Bloomberg, un semplice attuatore per i sedili può attraversare fino a sette volte il confine per essere completato, passando tra Colorado, Michigan, Messico, Texas e Canada.
L’imposizione di una tassa del 25% a ogni passaggio genererebbe un aumento esponenziale dei costi di produzione, difficilmente sostenibile. Una recente analisi del centro S&P Global Mobility ha elaborato tre scenari: il primo, il più ottimistico, prevede una soluzione negoziata che eviti gran parte dei dazi, ma la sua probabilità è ormai scesa al 30%. Il secondo, considerato il più probabile, prospetta un periodo di caos industriale lungo quattro o cinque mesi. Il terzo, definito “l’inverno dei dazi”, implicherebbe una ristrutturazione delle filiere produttive per evitare i costi doganali, con tempi lunghi e investimenti ingenti.
Anche il Financial Times, in collaborazione con S&P Global Mobility e Export Genius, ha analizzato il caso concreto del pick-up Chevrolet Silverado, prodotto in oltre 670.000 unità nel 2024. Una parte viene assemblata negli Stati Uniti, ma molte componenti – come la direzione assistita, i fari o gli interni delle portiere – provengono da Canada, Messico, Germania o Giappone. Questo tipo di interdipendenza produttiva rende particolarmente vulnerabile l’intero sistema a eventuali barriere commerciali.
Oltre ai produttori nordamericani, anche i costruttori europei e asiatici sono nel mirino delle possibili misure protezionistiche. Attualmente, 640.000 veicoli dei 2,8 milioni venduti da marchi come Volkswagen, BMW, Mercedes e Stellantis negli Stati Uniti provengono direttamente dall’Europa. Secondo il centro di consulenza Kearney, un dazio del 25% potrebbe far crollare le vendite europee del 29%, mettendo a rischio fino a 23.000 posti di lavoro nel settore.
Negli Stati Uniti, la Tax Foundation stima in oltre 300.000 i posti a rischio nel caso in cui le misure vengano implementate senza correttivi. Per il consumatore americano, il prezzo medio di un’auto, oggi vicino ai 50.000 dollari, potrebbe aumentare di diversi migliaia, generando un calo immediato della domanda.
Le principali case automobilistiche statunitensi – General Motors, Ford e Stellantis – stanno cercando di convincere Trump a concentrare l’eventuale imposizione sui veicoli assemblati in altri continenti. Allo stesso tempo, accumulano scorte per ritardare l’impatto delle tariffe, che però non potrà essere evitato a lungo. Senza meccanismi compensativi per le componenti importate e riesportate, l’intero equilibrio costruito in trent’anni di integrazione commerciale nordamericana rischia di crollare.