Perché i neolaureati americani fanno fatica a entrare nel mercato del lavoro

Non è l’intelligenza artificiale a ostacolare i giovani laureati, ma un mix di incertezza politica, investimenti congelati e scarsa propensione al rischio da parte delle imprese

Perché i neolaureati americani fanno fatica a entrare nel mercato del lavoro
Photo by Zacqueline Baldwin / Unsplash

Nonostante il tasso di disoccupazione complessivo negli Stati Uniti resti basso, i neolaureati hanno sempre più difficile ottenere il primo impiego. Secondo l’economista Brad DeLong, questa difficoltà non è (ancora) colpa dell’intelligenza artificiale, ma è il risultato di un contesto economico caratterizzato da incertezza, riluttanza delle aziende a investire in giovani talenti e una generale stagnazione del mercato del lavoro.

DeLong smentisce la narrazione secondo cui l’automazione e l’adozione diffusa dell’IA stiano già penalizzando i laureati. I tassi di assunzione dei neolaureati sono simili a quelli della seconda metà degli anni 2010. Tuttavia, settori come informatica, ingegneria informatica e grafica presentano tassi di disoccupazione superiori al 7%. Per contro, lauree in contabilità e analisi aziendale — considerate più esposte all’automazione — mostrano tassi di disoccupazione più bassi.

Il rallentamento dell’assunzione, secondo l’economista Allison Shrivastava del portale Indeed, è dovuto in gran parte all’incertezza economica. Le aziende rinviano le decisioni di assunzione sperando di avere un quadro più chiaro sull’impatto di dazi, IA, inflazione e politiche migratorie. “Tutto è come congelato”, afferma Shrivastava. Anche l'economista e premio nobel Paul Krugman, conferma che il mercato del lavoro per i neolaureati non è mai stato così svantaggioso rispetto agli altri segmenti. Di solito, anche i giovani laureati presentano tassi di disoccupazione inferiori alla media grazie al livello di istruzione. Oggi, invece, questo vantaggio sembra scomparso.

Alcuni dirigenti vedono strumenti come ChatGPT come una possibile alternativa agli stagisti e ai giovani analisti. Perché assumere un laureato per redigere report o sintetizzare documenti, se un modello linguistico può farlo in pochi secondi? Tuttavia, DeLong osserva che simili paure accompagnano ogni nuova tecnologia: il foglio elettronico negli anni ’80 fu accusato di rendere inutile la contabilità, ma nuove professioni sono emerse comunque.

Il punto cruciale, secondo DeLong, è che le aziende tecnologiche stanno investendo i propri capitali non in nuovi assunti ma in chip prodotti da NVIDIA, fondamentali per l’elaborazione dell’intelligenza artificiale. Per molte imprese, acquistare infrastruttura per l’IA è una priorità competitiva, mentre assumere giovani rimane una spesa facilmente rinviabile.

La vera causa del blocco, quindi, è più strutturale. La volatilità delle politiche pubbliche — su commercio, immigrazione, inflazione e tecnologia — rende difficile per le imprese pianificare. Questo porta a un ciclo vizioso: congelamento delle assunzioni, avversione al rischio, meno mobilità lavorativa. Un’azienda che non sa se potrà reclutare lavoratori stranieri preferisce non espandere il personale junior. Un’altra, che teme nuovi dazi, posticipa l’ingresso di neolaureati. Questo clima di attesa penalizza proprio chi è all’inizio del proprio percorso professionale.

A ciò si aggiunge un cambiamento più profondo: la riluttanza, sia dei lavoratori sia dei datori di lavoro, a prendersi rischi. I primi temono che cambiare lavoro significhi trovarsi senza alternative; i secondi preferiscono aspettare piuttosto che investire su candidati inesperti. Il risultato è una stagnazione del mercato. I tassi di cambio lavoro — sia entrate sia uscite — sono eccezionalmente bassi. Anche il consiglio classico “basta mettere un piede nella porta” perde efficacia se quella porta rimane chiusa.

Sul lungo periodo, inoltre, si osserva un’inversione del “college wage premium”. Per decenni, la laurea ha garantito salari superiori. Oggi questo premio salariale si è stabilizzato e potrebbe iniziare a scendere. Il numero di laureati cresce più rapidamente della domanda di lavoro qualificato, mentre il progresso tecnologico non ha generato abbastanza nuovi impieghi ben remunerati per assorbire l’offerta.

Infine, il modello organizzativo delle aziende è cambiato. Oggi domina la flessibilità: si assume per esigenze specifiche, spesso con contratti temporanei, e si investe meno nella formazione interna. Questo porta a carriere meno lineari, più frammentate e più dipendenti da iniziativa personale e reti di contatto. Le “scale” professionali sono diventate “reticoli”, dove la progressione richiede maggiore autonomia.

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