I dazi di Trump riportano l’America nel passato
Con una serie di dazi generalizzati e mirati, Donald Trump segna una svolta nella politica commerciale statunitense, ispirandosi a modelli del XIX secolo. L’analisi dell’Economist evidenzia le possibili ricadute su crescita, inflazione e mercati globali.

Ieri sera il presidente americano Donald Trump ha annunciato l’introduzione di una nuova ondata di dazi su tutte le importazioni verso gli Stati Uniti. Si tratta della misura più ampia mai adottata dalla sua amministrazione in materia commerciale, e rappresenta un netto allontanamento dal sistema di libero scambio costruito nel secondo dopoguerra. L’analisi dell'Economist evidenzia come queste decisioni portino l’America verso un regime economico simile a quello del tardo Ottocento.
Gli Stati Uniti applicheranno un dazio uniforme del 10% su tutte le importazioni, a partire dal 5 aprile. A questo si aggiungeranno tariffe “reciproche”, con percentuali molto più elevate per quei paesi che, secondo l’amministrazione americana, hanno tratto vantaggio da un accesso asimmetrico al mercato statunitense. I nuovi dazi entreranno in vigore il 9 aprile e colpiranno con particolare severità molti paesi asiatici: il Vietnam sarà soggetto a dazi del 46%, l’India del 26%, l’Unione Europea del 20%. La Cina affronterà un dazio di almeno il 54%, sommando le nuove misure ai dazi preesistenti.
Il metodo utilizzato per determinare le tariffe reciproche, spiega The Economist, appare rudimentale: è probabile che la Casa Bianca abbia semplicemente preso in esame il deficit bilaterale degli Stati Uniti con ciascun paese, rapportandolo al valore delle importazioni, per poi applicare un dazio proporzionale. Un approccio che trascura le complessità delle catene globali del valore e delle regole dell’Organizzazione Mondiale del Commercio.
Nonostante qualche eccezione, il perimetro dei nuovi dazi resta ampio. Sono esentati, per ora, Canada e Messico, a patto che le merci rispettino le condizioni dell’accordo USMCA, rinegoziato da Trump nel suo primo mandato. Inoltre, alcuni settori — come l’automotive, l’alluminio e l’acciaio — saranno soggetti solo al dazio settoriale specifico (25%) e non a quello nazionale aggiuntivo.
Per il presidente, si tratta di un passo necessario per ristabilire l’equità nei rapporti commerciali internazionali: “Per anni, i cittadini americani hanno dovuto assistere impotenti all’arricchimento di altre nazioni a nostre spese… ora tocca a noi prosperare”, ha affermato. Ha definito le nuove misure una “dichiarazione d’indipendenza economica” e ha evocato l’America del XIX secolo come modello da seguire. Tuttavia, come sottolinea l'Economist, all’epoca il paese era molto più povero di oggi e l’attuale prosperità americana è stata in buona parte favorita dalla globalizzazione.
Le prime reazioni dei mercati sono state negative. L’indice S&P 500, che aveva già perso il 10% dal suo picco di febbraio, ha subito un’ulteriore flessione dopo l’annuncio. Gli analisti prevedono forti pressioni al ribasso anche sulle borse internazionali. A preoccupare sono soprattutto gli effetti sui prezzi al consumo: le tariffe colpiscono molti beni di largo utilizzo importati dall’Asia, cosa che potrebbe far salire l’inflazione oltre il 4% entro fine anno, secondo le stime di Capital Economics.
L’inasprimento tariffario rischia anche di compromettere la crescita economica. Gli indicatori di fiducia dei consumatori sono già in calo e l’incertezza per le imprese è in aumento. Fino a poco tempo fa, molti economisti ritenevano che l’economia americana potesse reggere a una moderata stretta protezionistica. Ma con queste nuove misure, scenari più gravi diventano plausibili. Per Mark Zandi, capo economista dell’agenzia di rating Moody’s, l’entrata in vigore completa delle nuove politiche renderà “inevitabile” una recessione.
Trump, però, sembra disposto a sostenere anche un “dolore a breve termine”, convinto che i dazi restituiranno slancio alla manifattura americana. Ha affermato che le nuove entrate tariffarie genereranno “mille miliardi e mille miliardi di dollari”, sufficienti a finanziare tagli fiscali e ridurre il debito pubblico. L'Economist definisce questa previsione “fantasiosa”, sottolineando che i costi economici e l’inefficienza derivante dalla protezione di imprese non competitive supereranno di gran lunga i potenziali benefici.
Nel complesso, l’impostazione di Trump riflette una visione del commercio globale come gioco a somma zero, in cui l’America si considera una vittima da risarcire. Con la nuova politica daziaria, il presidente cerca di riscrivere le regole dell’economia internazionale rompendo con decenni di integrazione e cooperazione economica.