Dodici Stati USA contestano in tribunale i dazi imposti dal presidente Trump
Un’alleanza di Stati accusa la Casa Bianca di violare la Costituzione: i dazi, introdotti senza il via libera del Congresso, avrebbero effetti dannosi su economia e consumatori

Una coalizione composta da dodici Stati americani, tra cui Arizona, Oregon, New York e Minnesota, ha avviato un’azione legale contro la politica commerciale del presidente Donald Trump, accusandolo di aver imposto nuovi dazi in violazione delle prerogative costituzionali del Congresso. L'iniziativa legale, presentata mercoledì 23 aprile presso il tribunale degli Stati Uniti, arriva dopo una causa simile intentata dalla California la settimana precedente.
I procuratori generali di questi Stati, a guida democratica, contestano la legittimità dell’utilizzo da parte della Casa Bianca di una legge del 1977 per giustificare l’introduzione dei nuovi dazi. In particolare, ritengono che il presidente non possa appellarsi a misure d’urgenza per eludere il necessario passaggio parlamentare.
La procuratrice generale dell’Arizona, Kris Mayes, ha definito il piano tariffario dell’amministrazione Trump «non solo imprudente dal punto di vista economico, ma anche illegale». La denuncia collettiva afferma che la decisione presidenziale, fondata su dichiarazioni unilaterali di emergenza commerciale, ha minato l’ordine costituzionale e causato gravi conseguenze per l’economia nazionale.
Dopo il suo ritorno alla Casa Bianca nel gennaio 2025, Trump ha rilanciato una politica fortemente protezionista, riaccendendo lo scontro commerciale con la Cina e introducendo dazi del 10% su prodotti provenienti da decine di Paesi. Il presidente ha inoltre minacciato nuove misure ancora più incisive, alimentando incertezza sui mercati globali. La sua amministrazione sostiene che, a lungo termine, tale strategia porterà alla reindustrializzazione degli Stati Uniti. Tuttavia, numerosi economisti mettono in guardia dagli effetti negativi immediati: incremento dei prezzi al consumo, instabilità per le imprese e rischio di perdita di posti di lavoro.
La causa legale depositata sottolinea che «rivendicando il potere di imporre dazi considerevoli e mutevoli su qualunque prodotto importato negli Stati Uniti per qualsiasi motivo dichiarato come emergenza, il presidente ha sovvertito l’ordine costituzionale». Il documento descrive una politica commerciale capace di generare «caos» e colpire in modo indiscriminato l’economia americana.
La settimana precedente, il governatore della California, Gavin Newsom, aveva paragonato la misura tariffaria a «uno dei più clamorosi autogol della storia di questo Paese», accusando il presidente di aver «tradito» i propri elettori, in particolare gli agricoltori, duramente colpiti dalla guerra commerciale con la Cina.
Nel tentativo di contenere la pressione crescente e stemperare le tensioni, il presidente ha annunciato martedì una possibile riduzione delle sovrattasse attualmente applicate alle importazioni cinesi. Le imposte aggiuntive, che in alcuni casi raggiungono il 145%, dovrebbero «diminuire in modo sostanziale» in un futuro non meglio precisato, secondo dichiarazioni della Casa Bianca.
Nonostante questi segnali di apertura, la linea economica dell’attuale amministrazione resta oggetto di forti critiche da parte dell’opposizione democratica, che ha deciso di fare della questione commerciale uno dei principali terreni di confronto con il presidente. Dopo settimane di esitazioni, il partito democratico sembra ora puntare con decisione sulle contestazioni legali e politiche per arginare gli effetti di quella che viene percepita come una strategia economica rischiosa e destabilizzante.