WSJ: Trump impone dazi globali, è l’inizio di una nuova era protezionista

Il presidente americano ha introdotto dazi a cascata su tutti i Paesi del mondo, minacciando di sconvolgere l’intero sistema commerciale mondiale.

WSJ: Trump impone dazi globali, è l’inizio di una nuova era protezionista
Immagine creata dall’intelligenza artificiale. Fonte: ChatGPT

Il presidente Donald Trump ha annunciato ieri una nuova serie di dazi, in quello che lui ha definito come il “Giorno della Liberazione” degli Stati Uniti, segnando un altro passo deciso verso una svolta protezionista nella politica commerciale del Paese.

Secondo l’analisi del board editoriale del Wall Street Journal, il piano di Trump punta a rimodellare radicalmente non solo l’economia americana, ma anche l’intero sistema di scambi globali.

Un sistema di dazi punitivi

La struttura dei nuovi dazi è presentata ufficialmente come “reciproca”, ma nei fatti risulta altamente punitiva per gli altri Paesi.

Anzitutto, tutti i Paesi che desiderano esportare negli Stati Uniti saranno soggetti a un dazio di base del 10%.

Per quelli che Trump definisce “attori negativi”, si aggiungono ulteriori penalità: il livello di dazi che quel Paese applica ai prodotti americani, più una stima arbitraria dei costi derivanti da presunta manipolazione valutaria e dalle barriere non tariffarie, calcolata sostanzialmente come il surplus commerciale verso gli Stati Uniti in rapporto al totale di tutte le esportazioni.

La somma di questi elementi viene poi dimezzata e applicata come dazio reciproco.

Il risultato di questo calcolo? Dazi senza precedenti da oltre un centinaio di anni: 34% per la Cina, 24% per India e Giappone, 20% per l’Unione Europea.

Effetti sull’economia e sui consumatori

Le conseguenze economiche di questa manovra sono ancora difficili da quantificare, soprattutto in attesa delle reazioni degli altri Paesi.

Tuttavia, il rischio concreto è quello di una spirale di ritorsioni che potrebbe bloccare il commercio mondiale e rallentare la crescita globale.

Per i consumatori e le imprese americane, i costi aumenteranno inevitabilmente.

I dazi sono, in sostanza, tasse: quando si tassa qualcosa, se ne consuma meno. I prezzi delle automobili — anche quelle prodotte in America — saliranno di migliaia di dollari.

Col tempo, ciò potrebbe compromettere la competitività dell’industria statunitense, favorendo posizioni monopolistiche e riducendo gli incentivi all’innovazione.

Questa svolta unilaterale contraddice, inoltre, decenni di politica commerciale americana, orientata ad ampliare i mercati esteri per beni e servizi statunitensi.

Ora, invece, gli accordi multilaterali rischiano di saltare, spingendo altri Paesi a stipulare intese alternative che penalizzeranno le aziende americane.

La crescita del lobbismo e il declino della leadership USA

Un altro effetto collaterale dei dazi sarà l’aumento della pressione lobbistica su Washington.

Le imprese, nel tentativo di evitare i nuovi costi, cercheranno in tutti i modi di ottenere esenzioni.

Trump sostiene che non ce ne saranno, ma è probabile che la politica faccia marcia indietro di fronte alla prospettiva di ottenere consensi o fondi elettorali.

Per oltre settant’anni, la leadership americana ha promosso il libero scambio, contribuendo a un’epoca di prosperità senza precedenti.

La quota degli Stati Uniti nel PIL globale è rimasta stabile intorno al 25%. Ora, però, con l’approccio mercantilista di Trump, quel modello sembra giunto al termine.

Si profila invece un mondo in cui ogni nazione agirà per conto proprio, cercando vantaggi politici più che economici.

Il prezzo in termini di perdita di influenza americana sarà elevato.

Trump sembra confidare esclusivamente nella forza del mercato USA e nel potere militare per imporre la sua visione.

Ma anche il soft power, cioè la fiducia internazionale negli Stati Uniti come partner affidabile, gioca un ruolo cruciale.

La Cina pronta a colmare il vuoto

L’aspetto più paradossale della strategia di Trump è che, mentre mira a colpire la Cina, finirà inevitabilmente per favorirla.

Già nel suo primo mandato, Trump ha ritirato gli Stati Uniti dall’accordo commerciale Trans-Pacifico, che escludeva Pechino.

In sua assenza, la Cina ha stretto accordi con molti di quei Paesi, rafforzando la propria posizione nella regione.

Ora, con l’aumento delle tensioni commerciali, la Cina ha una nuova opportunità per attrarre ex alleati americani, offrendo accesso al suo vasto mercato.

Legami più stretti con Pechino renderanno questi Paesi meno inclini a schierarsi con Washington su questioni delicate, come il controllo delle esportazioni tecnologiche.

Le prossime settimane saranno determinanti per comprendere come i partner commerciali degli Stati Uniti risponderanno a questa mossa.

Se da un lato Trump parla di un ritorno a un’età dell’oro per l’economia americana, dall’altro è evidente che una ristrutturazione così radicale dell’ordine commerciale globale potrebbe comportare gravi costi — non solo per gli Stati Uniti, ma per l’intero pianeta.

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