Trump riceve cinque capi di Stato africani per contenere la Cina
Vertice USA-Africa a Washington dal 9 all’11 luglio: focus su minerali strategici, energia e sicurezza. Ma le iniziative americane sembrano frammentate e condizionate da interessi unilaterali.

Dopo anni di disinteresse e dichiarazioni sprezzanti sull’Africa durante il primo mandato, il presidente Donald Trump apre ora a una nuova fase di relazioni con il continente, almeno con una parte di esso. Dal 9 all’11 luglio 2025, la Casa Bianca ospita cinque capi di Stato africani per un vertice dedicato a commercio, sicurezza e migrazione. Sono presenti i leader di Senegal, Mauritania, Guinea-Bissau, Gabon e Liberia. Secondo fonti diplomatiche statunitensi, l’amministrazione punta a trasformare l’approccio verso l’Africa.
La scelta dei partecipanti, però, sorprende. Nessuno dei cinque rappresenta un peso massimo dell’economia africana. Tuttavia, sono territori ricchi di risorse naturali strategiche, al centro dell’interesse americano in chiave anticinese. L’obiettivo è segnato dal nuovo slogan dell’amministrazione: “Commercio, non aiuti”. Una linea che mira a moltiplicare gli accordi in settori come minerali, energia, infrastrutture e agricoltura, per contrastare l’“influenza nefasta” della Cina nel continente.
Uno dei primi risultati concreti è già stato annunciato: un’intesa da 1,8 miliardi di dollari tra il governo liberiano e il gruppo minerario statunitense Ivanhoe Atlantic. L’accordo prevede lo sviluppo di infrastrutture minerarie, ferroviarie e portuali. Il Liberia, infatti, è al centro di nuovi interessi grazie a rilevazioni geologiche cinesi che hanno confermato la presenza di litio, uranio, cobalto e manganese nel sottosuolo. Il presidente Joseph Boakai punta a mobilitare 3 miliardi di dollari di investimenti stranieri.
Anche il Gabon arriva a Washington con progetti concreti. Il presidente Brice Oligui Nguema presenterà il piano di trasformazione locale delle risorse naturali, con particolare attenzione al manganese grezzo, di cui il Paese è il secondo produttore mondiale. Il Gabon dispone inoltre di importanti riserve di ferro, la cui prima estrazione commerciale è attesa per fine 2026 grazie a un progetto congiunto della compagnia australiana Genmin e di un partner cinese.
Sul piano geopolitico, l’iniziativa si inserisce in un contesto di crescente attenzione statunitense verso le manovre economiche e diplomatiche di Pechino in Africa. Come spiega il politologo senegalese Serigne Bamba Gaye, “Trump si rende conto della presenza crescente della Cina e capisce che non può più ignorare il continente africano”. Tuttavia, Gaye osserva anche che “Trump non ha una visione complessiva sull’Africa: è interessato a trattare con singoli Paesi per rafforzare posizioni economiche specifiche”.
Il Senegal è al centro di possibili trattative sull’energia. Il presidente Bassirou Diomaye Faye potrebbe chiudere il contenzioso con la compagnia australiana Woodside Energy, che opera su giacimenti offshore senegalesi e a cui Dakar ha contestato 62,5 milioni di euro di imposte. La rinuncia alla controversia servirebbe da segnale distensivo per attrarre investitori. Allo stesso tempo, il governo senegalese cerca l’appoggio americano presso il Fondo monetario internazionale e la Banca mondiale, dopo che il FMI ha sospeso i finanziamenti a seguito della scoperta di una “dettazione” occulta da 7 miliardi di dollari.
Anche il dossier sicurezza è sul tavolo. Dopo un attacco jihadista lungo il confine tra Senegal e Mauritania il 1° luglio, rivendicato dal Gruppo di Sostegno all'Islam e ai musulmani, Dakar chiederà garanzie di cooperazione militare. Il Senegal vuole inoltre affrontare il tema della sicurezza nel golfo di Guinea, cruciale anche per la Guinea-Bissau, da anni snodo del narcotraffico internazionale.
Tutti e cinque i Paesi africani coinvolti nel vertice sono stati recentemente citati in un memo del Department of State pubblicato dal Washington Post, in cui si ipotizzano nuove restrizioni sui visti per 36 Paesi. Il documento denuncia debolezze amministrative e alti tassi di irregolarità tra i cittadini africani che restano negli Stati Uniti dopo la scadenza del visto. In Senegal, la questione ha suscitato preoccupazione: tra gennaio e luglio 2024, 20.231 cittadini senegalesi sono stati fermati alla frontiera tra Messico e Stati Uniti, un numero dieci volte superiore a quello del 2022.
Il vertice si presenta così come un mosaico di trattative bilaterali, più che un reale forum multilaterale. Il Liberia insiste sull’importanza del dialogo collettivo, ma secondo il politologo Gaye “ogni Paese sta cercando di far valere solo i propri interessi”. In assenza di una strategia africana comune, i margini per ottenere concessioni più ampie sono ridotti. Le stesse dinamiche sembrano riprodurre uno schema già noto: una politica americana centrata su opportunità economiche selettive, con scarso spazio per la cooperazione strutturale o per un reale rilancio dell’aiuto allo sviluppo, smantellato durante il primo mandato di Trump.