Trump propone una tassa sui cargo cinesi: nuovo picco del protezionismo economico
La misura mira a rilanciare i cantieri navali americani, ma rischia di danneggiare l’economia statunitense ed esasperare le tensioni commerciali con la Cina

L’iniziativa di Donald Trump di imporre una tassa multimilionaria a ogni scalo nei porti statunitensi effettuato da navi costruite in Cina o battenti bandiera cinese segna un nuovo passo nell’agenda protezionista dell’ex presidente americano. Concepite per incentivare la produzione navale nazionale, le nuove misure potrebbero provocare effetti contrari rispetto agli obiettivi dichiarati: un forte rallentamento della logistica portuale, un aumento dei prezzi e una penalizzazione tanto delle importazioni quanto delle esportazioni.
Secondo le stime del broker marittimo Clarksons, il costo della tassa per gli armatori potrebbe raggiungere i 52 miliardi di dollari l’anno (circa 48 miliardi di euro). La misura andrebbe a colpire non soltanto le merci straniere, ma anche le imbarcazioni che le trasportano, estendendo così l’ambito del protezionismo statunitense a un livello finora inedito.
Oggi, gli Stati Uniti occupano soltanto il 19° posto nella classifica globale dell’industria navale, molto lontani dalla Cina che detiene circa la metà del mercato mondiale. Il vantaggio strategico di Pechino è stato riconosciuto anche dal rappresentante USA al commercio Jamieson Greer, che ha evidenziato il ruolo della Cina nel determinare prezzi, disponibilità e accesso alle rotte marittime globali. L’iniziativa di Trump è nata anche da un’indagine voluta da cinque sindacati americani e avviata sotto l’amministrazione Biden.
Tuttavia, la tassa sui cargo minaccia di introdurre gravi distorsioni nel sistema logistico statunitense. Per evitare di dover versare la tassa a ogni attracco, le compagnie marittime potrebbero decidere di concentrare le operazioni di carico e scarico in un numero ristretto di grandi porti, abbandonando quelli più piccoli. Un simile accentramento provocherebbe congestione e rallentamenti, rendendo meno efficienti le catene di approvvigionamento.
Diversamente dai dazi tradizionali, la nuova tassa non è proporzionale al valore della merce trasportata e colpirebbe indistintamente prodotti ad alto e basso valore. Jared Gale, dirigente della Dole Food Company, ha illustrato come la misura farebbe salire sensibilmente il prezzo delle banane, un bene d’importazione che non può essere prodotto localmente. Al contrario dei dazi su acciaio, alluminio o automobili, che potrebbero incentivare la produzione domestica, la tassa sui cargo colpirebbe anche settori che non hanno alternative produttive sul suolo americano.
Non sono solo le importazioni a essere a rischio: anche le esportazioni verrebbero colpite. I cargo che attraccano negli USA caricano regolarmente merci prodotte internamente. Mike Koehne, rappresentante dell’American Soybean Association, ha spiegato che i produttori di soia dovranno aumentare i prezzi per compensare i maggiori costi legati sia agli input agricoli importati sia alla tassa sull’export, perdendo così competitività sui mercati esteri.
Inoltre, l’efficacia della misura nel ridurre la dipendenza dalla cantieristica cinese non è così certa. Secondo gli operatori marittimi consultati, i cantieri navali giapponesi e sudcoreani — uniche alternative credibili alla Cina — hanno ordini pieni per diversi anni. I cantieri americani, per loro parte, non sono pronti a soddisfare la domanda in tempi brevi. Il risultato probabile sarebbe un rinvio generalizzato degli acquisti di nuove navi, con un conseguente invecchiamento delle flotte e una pressione al rialzo sui costi di trasporto.
Nonostante le critiche, Trump sembra già aver ottenuto un vantaggio politico dalla proposta. Durante un incontro il 6 marzo nello Studio Ovale, Rodolphe Saadé, presidente del colosso marittimo CMA-CGM, ha promesso un investimento da 20 miliardi di dollari negli Stati Uniti e la creazione di 10.000 posti di lavoro. Un annuncio accolto con favore dall’entourage dell’ex presidente.
La tassa, se attuata, rischia di consolidare una rottura duratura nel commercio marittimo globale e nel ruolo degli Stati Uniti all’interno di esso. Resta da vedere se la proposta sopravviverà alla prova della sua attuazione, o se rimarrà uno strumento retorico nella strategia elettorale di Trump.