Trump impone nuovi dazi del 40% sulle importazioni indirette per colpire la Cina
La nuova misura si applica alle merci spedite negli Stati Uniti attraverso Paesi terzi, colpendo soprattutto la Cina. Gli esperti avvertono: difficile farla rispettare, ma l’impatto sul commercio globale potrebbe essere significativo.
Con un ordine esecutivo firmato giovedì, il presidente Donald Trump ha introdotto un nuovo dazio del 40% su tutte le importazioni indirette, ovvero quelle merci che arrivano negli Stati Uniti passando attraverso Paesi terzi. La misura è rivolta formalmente a tutte le nazioni, ma nel concreto prende di mira soprattutto la Cina, accusata dalla Casa Bianca di aggirare i dazi statunitensi trasferendo parte della produzione in altri Paesi.
Questa nuova tariffa è destinata ad applicarsi entro questa settimana e si aggiungerà a qualsiasi dazio già in vigore sulle merci se fossero importate direttamente dal Paese d’origine. L’obiettivo dichiarato è contrastare il deficit commerciale degli Stati Uniti.
La mossa amplia il fronte della guerra commerciale aperta dal presidente già durante il suo primo mandato. Da allora, molte aziende cinesi hanno spostato parte della produzione o istituito magazzini in Paesi come Vietnam, Malesia e Messico, nel tentativo di aggirare le tariffe imposte da Washington. Secondo il nuovo ordine, tuttavia, se il prodotto non subisce una “trasformazione sostanziale” nel Paese terzo, verrà comunque considerato cinese e quindi colpito dal nuovo dazio.
Il concetto di “transshipment” — ovvero spedizione indiretta — ha una definizione legale precisa, ma l’amministrazione Trump ha annunciato l’intenzione di allargarne significativamente la portata. L’obiettivo è colpire tutte le forme di elusione tariffaria, e in questo senso sono attese nuove regole sull’origine delle merci nelle prossime settimane.
Le rules of origin sono strumenti che servono a verificare il reale Paese di produzione delle merci. Già utilizzate in ambiti come l’accordo USMCA (che ha sostituito il NAFTA), queste regole richiedono, ad esempio, che almeno il 75% dei componenti di un’automobile sia prodotto in Nord America per ottenere l’esenzione dai dazi. Secondo Brad Setser, ex funzionario delle amministrazioni Obama e Biden, l’estensione di tali regole al commercio cinese rappresenterebbe “il cambiamento più significativo nel lungo termine”.
Altri esperti, però, nutrono dubbi sull’effettiva severità delle norme. La mancanza, nell’ordine esecutivo, di riferimenti espliciti alla Cina potrebbe essere un segnale della volontà dell’amministrazione di mantenere aperti i canali diplomatici, anche in vista di un possibile vertice autunnale tra Trump e Xi Jinping. Deborah Elms, responsabile delle politiche commerciali presso la Hinrich Foundation di Singapore, osserva che “l’assenza di riferimenti a contenuti specifici da determinati Paesi evita per ora di provocare direttamente la Cina”.
A inizio luglio, Trump aveva già siglato un primo accordo bilaterale con il Vietnam, includendo una clausola analoga sui dazi al 40% sulle spedizioni indirette dalla Cina. Questo accordo è diventato la base per la nuova strategia, anche se finora Hanoi non ne ha confermato pubblicamente i contenuti. Tranne che per l’Indonesia, anche gli altri Paesi del Sud-Est asiatico non hanno ancora incluso esplicitamente il tema del transshipment negli annunci successivi.
I governi della regione, che hanno cercato di adattarsi rapidamente alle richieste statunitensi, hanno avviato controlli più stringenti sulle catene di approvvigionamento, semplificato le pratiche doganali e preso impegni contro il commercio illecito. In diversi casi si è discusso apertamente della necessità di ridurre la quota di componenti cinesi nei prodotti destinati all’export verso gli Stati Uniti.
Tuttavia, alcuni esponenti politici hanno sottolineato le difficoltà nel realizzare questi obiettivi. Il viceministro del commercio malese Liew Chin Tong, intervistato a Kuala Lumpur, ha dichiarato: “Tutti possono avere delle aspirazioni. Ma quando l’aspirazione incontra la realtà dell’esecuzione, bisogna vedere che cosa accade davvero”.
Anche in Cina si osservano segnali di tensione. Secondo Stephen Olson, ex negoziatore commerciale statunitense ora presso l’ISEAS-Yusof Ishak Institute di Singapore, “queste disposizioni commerciali sono un tentativo neanche troppo velato di isolare la Cina”. Pechino, dal canto suo, ha risposto con misure di ritorsione, come la sospensione dell’export di magneti in terre rare, cruciali per l’industria automobilistica, aerospaziale e dei semiconduttori.
In questo contesto, alcuni osservatori hanno notato un parziale ammorbidimento della linea di Trump. Il presidente ha recentemente annullato alcune restrizioni sulle esportazioni di chip per l’intelligenza artificiale verso la Cina e, in un incontro bilaterale con il presidente filippino Bongbong Marcos, ha affermato che non avrebbe problemi se Manila mantenesse buoni rapporti con Pechino.
Le incertezze generate dalla nuova politica commerciale americana preoccupano anche le imprese multinazionali. Giganti come Walmart, che hanno un ruolo significativo nelle importazioni verso gli Stati Uniti, dispongono di informazioni dettagliate sulle loro catene produttive. Tuttavia, diversi analisti si chiedono se l’agenzia U.S. Customs and Border Protection sia davvero in grado di verificare l’origine effettiva di milioni di spedizioni ogni anno.
In una nota, la società di analisi Capital Economics ha avvertito che “l’applicazione sarà probabilmente difficile, e anche se si riuscirà a ridurre le rotte di reindirizzamento esplicite, la diversione commerciale continuerà a indebolire l’impatto complessivo dei dazi statunitensi sulle esportazioni cinesi”.