Trump impone dazi del 25% sulle auto di importazione straniera
La misura entrerà in vigore il 3 aprile e colpirà tutte le automobili non assemblate sul suolo statunitense, incluse quelle di marchi americani. L’Unione Europea, il Canada, il Giappone e la Corea del Sud annunciano possibili contromisure.

L’annuncio è arrivato con qualche giorno d’anticipo rispetto a quanto previsto: il presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, ha confermato l’imposizione di nuovi dazi del 25% su tutte le automobili non fabbricate negli Stati Uniti. Il provvedimento entrerà in vigore a partire dal 3 aprile per i veicoli finiti e al massimo entro il 3 maggio per le componenti fondamentali come motori, trasmissioni ed elementi elettrici. La misura si inserisce in un quadro più ampio di politiche commerciali protezionistiche promosse dalla Casa Bianca in vista di quella che Trump ha definito la “giornata della liberazione”, fissata per il 2 aprile, in cui annuncerà un sistema di dazi doganali “reciproci” su tutte le importazioni.
Secondo quanto dichiarato dallo stesso presidente, l’obiettivo è quello di riportare negli Stati Uniti le produzioni del settore automobilistico, rafforzando l’industria nazionale e riducendo la dipendenza dall’estero. “Vogliamo che le automobili siano fabbricate in America. Se le costruite qui, non ci sarà nessun dazio”, ha affermato Trump, sottolineando come molte case automobilistiche estere abbiano già impianti produttivi negli Stati Uniti ma con capacità produttive ancora sottoutilizzate.
L’impatto della misura è però tutt’altro che contenuto. Attualmente, circa la metà dei 16 milioni di veicoli venduti annualmente negli Stati Uniti è prodotta fuori dai confini nazionali. Tra i paesi maggiormente colpiti ci sono il Messico (16,2% del mercato americano) e il Canada (7,2%), seguiti da Corea del Sud e Giappone. L’Europa appare meno esposta, grazie agli investimenti degli ultimi decenni in stabilimenti sul suolo statunitense, come nel caso di BMW in Carolina del Sud.
Il primo ministro dell’Ontario, Doug Ford, ha reagito duramente, promettendo “sofferenze al popolo americano” in risposta ai nuovi dazi. Anche Ursula von der Leyen, presidente della Commissione europea, ha definito i dazi “tasse dannose per le imprese e ancora di più per i consumatori”. Il Giappone ha parlato di “un impatto considerevole” per l’economia globale, mentre il Brasile ha annunciato che adotterà misure giudicate utili a proteggere i propri interessi.
L’industria automobilistica americana non è immune alle conseguenze: Ford importa alcune delle sue camionette dalla Turchia, General Motors introduce ogni anno circa 750.000 veicoli da Canada e Messico, e molte componenti chiave dei veicoli assemblati negli Stati Uniti provengono da paesi terzi. A fronte dei nuovi dazi, l’amministrazione americana ha previsto un sistema che permetterà di tassare i veicoli importati solo sulla parte del loro valore non riconducibile a componenti statunitensi. Una formula che mira ad attenuare gli effetti su una filiera produttiva fortemente integrata a livello continentale.
Il mercato finanziario ha reagito con preoccupazione all’annuncio. A Wall Street, l’indice S&P 500 ha perso l’1,1% e il Nasdaq ha chiuso in calo del 2%, con ribassi marcati per General Motors (–10%), Stellantis (–7,8%) e Ford (–4,5%). Tesla, che produce principalmente negli Stati Uniti, ha registrato un lieve rialzo nell’immediato ma ha chiuso comunque in perdita sulla giornata.
Gli analisti prevedono un aumento del prezzo medio di un’automobile compreso tra i 5.000 e i 10.000 dollari, con effetti importanti sul potere d’acquisto dei consumatori statunitensi. Per mitigare l’impatto sui cittadini, Trump ha proposto una deducibilità fiscale dei prestiti auto, subordinata però all’acquisto di veicoli prodotti negli Stati Uniti.
Infine, il presidente ha lasciato intendere che alcune delle nuove misure doganali potrebbero essere oggetto di negoziato, in particolare con la Cina, in un’ottica di scambio con concessioni su altri dossier, come la vicenda TikTok. In questa prospettiva, Trump ha dichiarato che ogni punto percentuale di dazio “vale più del valore di TikTok” e che potrebbe essere disposto a rivedere alcune imposizioni in cambio di cooperazione commerciale.