Trump e l’espansione senza precedenti del potere presidenziale
Un articolo di Thomas B. Edsall sul New York Times descrive la seconda amministrazione Trump come una delle più intrusive della storia americana, con interventi che toccano economia, università, giustizia e istituzioni culturali.

La seconda presidenza di Donald Trump è una delle più invasive della storia americana: ha spinto il potere federale nell’economia, nella cultura e nel sistema giudiziario, ridefinendo i limiti del ruolo presidenziale in tempo di pace. Lo sostiene Thomas B. Edsall in un articolo pubblicato dal New York Times.
Sul piano economico, Trump detta le regole del comportamento aziendale attraverso dazi, sussidi, punizioni per settori o imprese considerate avversarie e benefici fiscali e deregolamentazioni per quelle considerate alleate. Culturalmente, la Casa Bianca esercita pressioni sulle università, alimenta la politica del risentimento e ristruttura le agenzie federali privilegiando la lealtà ideologica all’esperienza. Sul piano legale, l’amministrazione ha rimodellato la magistratura federale, rafforzato il potere esecutivo sulle istituzioni indipendenti e usato il Dipartimento di Giustizia per scopi politici.
Rogers Smith, politologo dell’Università della Pennsylvania, ha paragonato questa offensiva alla nascita dei regimi totalitari negli anni Venti e Trenta, ricordando la frase di Mussolini secondo cui “anche un insegnante di matematica deve essere fascista”. Secondo Smith, chi non si adegua alle posizioni della Casa Bianca rischia di perdere fondi, di subire azioni legali e di essere denigrato pubblicamente, con possibili conseguenze anche in termini di violenza privata.
Sean Wilentz, storico di Princeton, ritiene che il termine “intrusivo” sia insufficiente. Per Wilentz, la riscrittura della storia americana voluta da Trump, presentata come una narrazione provvidenziale culminante nella sua leadership, rappresenta un tentativo di restaurazione monarchica in contraddizione con la Rivoluzione americana.
Il confronto con Franklin Roosevelt, citato dalla politologa Terri Bimes dell’Università di Berkeley, evidenzia le differenze. Roosevelt impose regolazioni pervasive durante il New Deal e la Seconda guerra mondiale, arrivando anche all’internamento forzato dei cittadini giapponesi negli Stati Uniti, ma lo fece rispettando i controlli del Congresso e della Corte Suprema. Trump, al contrario, procede soprattutto tramite ordini esecutivi e dichiarazioni di emergenza, incontrando minori resistenze istituzionali.
Jeremi Suri, storico dell’Università del Texas, ha ricordato come anche Lincoln fu un presidente “intrusivo” nel contesto della guerra civile. Tuttavia, secondo Suri, ciò che distingue Trump è l’azione unilaterale basata su impulsi personali, che ignora la separazione dei poteri e spinge i confini verso un modello autoritario.
Anche dal fronte conservatore sono arrivate critiche. Il Cato Institute ha denunciato l’accordo del presidente con Nvidia e AMD, che prevede il versamento al governo di una quota dei ricavi generati in Cina, come un pericoloso precedente di uso improprio delle prerogative in materia di sicurezza nazionale. Veronique de Rugy, del Mercatus Center, ha messo in guardia dal rischio che Trump interpreti ogni dissenso come disloyalty, minando la credibilità delle agenzie indipendenti. Ryan Young, del Competitive Enterprise Institute, ha contestato i dazi unilaterali del presidente, giudicati inefficaci e dannosi per il commercio globale.
Secondo Edsall, queste critiche non hanno fermato Trump, sebbene i sondaggi abbiano registrato un calo della sua popolarità: dal 50,5 per cento di approvazione a inizio mandato al 45,8 per cento, con la disapprovazione salita al 51,2 per cento.
Jack Rakove, storico di Stanford, ha sostenuto che ogni paragone con altri presidenti sia vano: Trump rappresenterebbe un caso unico per l’ambizione, la disonestà e la rottura delle convenzioni. Matt Dallek, della George Washington University, ha parlato di intrusione “olistica”, che abbraccia università, studi legali, media, musei e persino il ruolo degli agenti federali a Washington.
George C. Edwards III, di Texas A&M, ha sottolineato che nessun presidente in tempo di pace è stato così interventista nell’economia, imponendo investimenti, condizionando la scelta dei dirigenti aziendali e favorendo settori come i combustibili fossili a scapito di energie rinnovabili e auto elettriche. Secondo Edwards, l’elemento più grave è lo smantellamento dell’amministrazione statale, con l’erosione delle competenze costruite in generazioni e la compromissione dello stato di diritto.
La conclusione di Edsall è che, per Trump, la legge non sia un principio ma un ostacolo da superare nel cammino verso un’autorità illimitata. Una traiettoria che, scrive, punta al potere assoluto, con conseguenze strutturali e morali per la democrazia americana.
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