Trump colpisce l’India con nuovi dazi del 25% per l’acquisto di petrolio russo
La guerra commerciale tra Washington e New Delhi si intensifica: in arrivo nuovi dazi americani e un riavvicinamento al Pakistan che mina l’alleanza indo-statunitense

La Casa Bianca ha ufficializzato una nuova stretta commerciale contro l’India: il presidente Donald Trump ha firmato un decreto che impone un ulteriore 25% di dazi sui prodotti indiani, in risposta agli acquisti di petrolio dalla Russia. La misura si aggiunge a una precedente imposta della stessa entità, in vigore dal 7 agosto. Entrambe fanno parte della strategia dell’amministrazione statunitense per isolare Mosca e ridurre i suoi introiti energetici. Il provvedimento, che entrerà in vigore tra ventuno giorni, esclude alcuni settori strategici come acciaio, alluminio, farmaceutica, semiconduttori e smartphone, ma segna un punto di rottura nelle relazioni indo-americane.
Il presidente ha motivato la decisione sostenendo che l’India sta aiutando indirettamente la Russia a finanziare la guerra in Ucraina. Secondo Trump, «l’acquisto continuo di petrolio russo da parte dell’India» costituisce una «minaccia insolita e straordinaria per la sicurezza nazionale e la politica estera degli Stati Uniti». In un post sul suo social Truth Social, il 31 luglio, ha dichiarato: «Mi è indifferente cosa fa l’India con la Russia. Possono affondare insieme le loro economie disastrate».
Il governo indiano ha reagito duramente. Il ministero degli affari esteri ha definito la decisione «estremamente deplorevole», giudicandola «ingiusta, ingiustificata e irragionevole». Ha inoltre rivendicato che le importazioni indiane si basano su criteri di mercato e sono guidate dall’obiettivo di garantire la sicurezza energetica per 1,4 miliardi di persone. Da parte sua, il ministro del petrolio Hardeep Singh Puri ha ricordato a luglio, in un’intervista alla CNBC, che fu proprio Washington a suggerire a Nuova Delhi l’acquisto di greggio russo entro il tetto massimo di prezzo, per contenere i costi in un mercato segnato dalle sanzioni contro Venezuela e Iran.
Dall’inizio del 2025, la Russia ha fornito il 37% dei circa mille milioni di barili importati dall’India, rendendola il secondo acquirente dopo la Cina. Prima della guerra in Ucraina, la quota russa era solo del 2%. New Delhi, che non ha mai condannato apertamente Mosca per l’invasione del 2022, ha difeso la sua posizione ribadendo che l’approvvigionamento energetico è un interesse strategico nazionale e che né gli Stati Uniti né l’Unione Europea possono decidere i suoi partner commerciali.
Le tensioni commerciali si sommano a un contenzioso più ampio. Da anni Trump accusa l’India di pratiche protezionistiche. Durante il suo primo mandato definì New Delhi «il re delle barriere doganali», lamentando in particolare le tasse sulle moto Harley Davidson. A fine luglio ha reiterato le accuse: «I loro dazi sono tra i più alti al mondo e impongono le barriere commerciali non monetarie più dure e sgradevoli», ha scritto su Truth Social.
Secondo i dati della Banca mondiale del 2022, i dazi medi indiani si attestavano al 14%, contro il 3% statunitense. Le trattative tra i due Paesi, avviate in primavera, si sono arenate su punti chiave come l’agricoltura. Il settore coinvolge metà della popolazione indiana e vale il 16% del PIL. Per difendere i propri produttori, l’India impone dazi superiori al 70% sul riso e tra il 30% e il 60% sul latte.
Un altro nodo è la produzione degli iPhone. Trump si oppone al trasferimento dell’assemblaggio da Cina a India e ha minacciato di imporre un dazio del 250% sui farmaci generici indiani, un mercato da 10 miliardi di dollari l’anno. Per ora, smartphone e farmaceutici sono esclusi dalle misure annunciate, ma l’amministrazione ha fatto sapere che i semiconduttori potrebbero essere tassati fino al 100% in futuro, senza indicare una data precisa.
A inasprire ulteriormente i rapporti è intervenuto un elemento geopolitico: il Pakistan. Dopo un conflitto di quattro giorni, il presidente americano ha annunciato il 10 maggio un cessate il fuoco tra Islamabad e New Delhi, dichiarando di averlo ottenuto in cambio di concessioni commerciali. Una versione smentita da Modi, secondo cui Trump non avrebbe avuto alcun ruolo nella mediazione. Secondo l’analista militare Pravin Sawhney, «negando a Trump il merito di aver evitato una guerra nucleare, l’India ha compromesso le sue relazioni strategiche con Washington».
Il 18 giugno, a una settimana dalla tregua, il capo delle forze armate pakistane, generale Asim Munir – considerato un nemico dell’India – è stato ricevuto alla Casa Bianca. È seguito un accordo commerciale che ha ridotto i dazi sul Pakistan dal 29% al 19%, e ha aperto a progetti congiunti nel settore energetico e minerario. Gli Stati Uniti intendono così contrastare l’influenza cinese in Pakistan, dove Pechino ha investito pesantemente nelle Nuove vie della seta.
Questo repentino spostamento degli equilibri ha provocato un senso di tradimento a New Delhi. Solo sei mesi fa, nel febbraio 2025, Modi era stato ricevuto da Trump nello Studio Ovale e aveva parlato di un “mega partenariato per la prosperità”, coniando l’acronimo “MIGA” come risposta al “MAGA” trumpiano. Ma le prospettive di un’alleanza indo-americana fondata su affinità ideologiche e interessi strategici sembrano ora svanite. Il saldo commerciale favorevole all’India, che ammonta a 45 miliardi di dollari, rischia di contrarsi sotto i colpi dei dazi, mentre le relazioni bilaterali si allontanano da una convergenza e si avvicinano a un confronto diretto.