Trump attacca Jerome Powell della Fed per non aver abbassato i tassi d'interesse velocemente

Il presidente critica il presidente della Federal Reserve per non aver abbassato i tassi velocemente come la BCE, accusandolo di essere "troppo in ritardo e sbagliato" nelle sue decisioni monetarie.

Trump attacca Jerome Powell della Fed per non aver abbassato i tassi d'interesse velocemente

Il presidente Donald Trump ha lanciato questa mattina un nuovo duro attacco contro Jerome Powell, presidente della Federal Reserve, criticandolo pesantemente per la sua gestione della politica monetaria e lasciando intendere di star pensando di licenziarlo. Al centro della polemica, la mancata riduzione dei tassi d’interesse da parte della Banca Centrale statunitense, in contrasto con l’orientamento adottato dalla European Central Bank (BCE), che, secondo quanto riferito, sarebbe prossima al settimo taglio dei tassi nel corso di un solo anno.

Trump, alle prese con crescenti critiche sulla gestione dell’economia nazionale, ha reagito alle notizie provenienti dall’Europa cercando di spostare l’attenzione e la responsabilità su Powell. La tensione tra i due si è acuita ulteriormente dopo che lo stesso Powell, mercoledì, aveva espresso preoccupazione riguardo all’instabilità generata dalle politiche commerciali della Casa Bianca, sottolineando che “senza stabilità dei prezzi, non possiamo ottenere lunghi periodi di forti condizioni del mercato del lavoro che avvantaggino tutti gli americani”.

Con questa dichiarazione, il presidente della Fed ha fatto intendere chiaramente che, almeno nel breve termine, non sono previste riduzioni dei tassi.

Lo sfogo di Trump su Truth Social

Nel suo intervento mattutino su Truth Social, Trump ha accusato Powell di essere costantemente in ritardo e di commettere errori di valutazione.

“La BCE dovrebbe tagliare i tassi d’interesse per la settima volta, eppure 'Troppo Tardi' Jerome Powell della Fed, che è sempre TROPPO TARDI E SBAGLIA, ieri ha emesso un rapporto che è stato un altro, e tipico, completo 'pasticcio'!”.

Proseguendo nel suo messaggio, Trump ha evidenziato alcuni segnali positivi nell’economia statunitense per rafforzare la sua posizione:

“I prezzi del petrolio sono in calo, i generi alimentari (persino le uova!) sono in calo, e gli USA si stanno ARRICCHENDO CON I DAZI. 'Troppo Tardi' avrebbe dovuto abbassare i tassi d’interesse, come la BCE, molto tempo fa, ma dovrebbe certamente abbassarli ora”.

Infine, il presidente ha concluso con un attacco diretto al presidente della Fed:

“La fine dell’incarico di Powell non può arrivare abbastanza presto!”.

Ripercussioni economiche e istituzionali

Le dichiarazioni di Trump si inseriscono in un contesto economico già delicato, segnato da un’inflazione che potrebbe aumentare più rapidamente negli Stati Uniti rispetto ad altri paesi, proprio a causa dell’introduzione di nuovi dazi da parte dell’amministrazione. In questo scenario, le decisioni della Federal Reserve sui tassi d’interesse diventano ancora più cruciali, e le pressioni politiche possono alimentare ulteriori incertezze.

Il confronto tra Trump e Powell solleva anche questioni istituzionali rilevanti. Tradizionalmente, l’indipendenza della Federal Reserve nella definizione delle politiche monetarie è considerata un pilastro della stabilità economica statunitense. In passato, Trump aveva affermato che non avrebbe cercato di sostituire Powell prima della scadenza naturale del suo mandato, prevista per maggio 2026. Tuttavia, le sue recenti dichiarazioni sembrano mettere in discussione questa posizione.

A difesa dell’autonomia della banca centrale è intervenuto anche il Segretario al Tesoro, Scott Bessent, che in un’intervista a Bloomberg rilasciata lunedì ha riaffermato il suo sostegno all’indipendenza della Federal Reserve, definendola “un gioiello che deve essere preservato”.

Trump può davvero licenziare Powell?

Ai sensi del Federal Reserve Act, la legge che regola le attività della Banca Centrale statunitense, il presidente degli Stati Uniti può rimuovere i membri del Board della Federal Reserve, incluso il suo presidente, soltanto “per giusta causa” (inefficienza, negligenza o cattiva condotta), una clausola introdotta proprio per salvaguardare l’indipendenza della Banca Centrale dal potere politico.

Il presidente della Federal Reserve ha un mandato quadriennale, rinnovabile, e può essere confermato o riconfermato solo con il consenso del Senato, che – attualmente controllato dai repubblicani con 53 seggi – dovrebbe comunque votare a maggioranza per approvare qualsiasi nuova nomina alternativa.

Qualunque tentativo di licenziare Powell al di fuori delle cause previste esporrebbe l’Amministrazione a contenziosi in tribunale che finirebbero quasi certamente diretti alla Corte Suprema, mettendo a rischio l’autonomia della Fed e generando incertezza sui mercati finanziari in un momento già critico di per se, come evidenziato dalle stesse difese dell’indipendenza della Banca Centrale da parte del suo presidente.

Sul piano politico, inoltre, una rimozione arbitraria di Powell potrebbe sfociare in una vera e propria crisi istituzionale e suscitare critiche bipartisan in Congresso, indebolendo ulteriormente la fiducia di investitori e analisti nella stabilità della politica monetaria statunitense.

Le tensioni con la Fed come riflesso di una strategia più ampia

La nuova offensiva di Trump contro Powell si colloca, ad ogni modo, nel quadro di una strategia comunicativa e politica più ampia, in cui il presidente cerca di consolidare il sostegno dell’opinione pubblica e minimizzare le responsabilità dirette sulle difficoltà economiche. Puntare il dito contro Powell consente a Trump di distogliere l’attenzione dalle possibili conseguenze dei dazi imposti dalla sua Amministrazione, che potrebbero aggravare le pressioni inflazionistiche nei mesi a venire.

Nel contempo, il confronto con l’Europa e con la BCE viene utilizzato come argomento retorico per mettere in evidenza una presunta lentezza della Fed e per giustificare un intervento diretto nei suoi confronti. Tuttavia, qualsiasi tentativo di condizionare le decisioni dell’istituto centrale statunitense rischierebbe di minare profondamente la fiducia degli investitori e di accentuare l’incertezza sui mercati finanziari.

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