Perché il trumpismo non ha futuro
L’analista Noah Smith sostiene che il movimento guidato dal presidente Trump, pur dominando la politica americana, manca di una visione costruttiva e di lungo periodo, limitandosi a smantellare istituzioni e culture esistenti senza crearne di nuove.

Il movimento Make America Great Again (MAGA) è oggi la forza politica più influente negli Stati Uniti, grazie al controllo del presidente Trump sulla Casa Bianca e al suo dominio sul Partito Repubblicano. Tuttavia, secondo l'economista Noah Smith, autore della newsletter Noahpinion, questa supremazia politica non implica un futuro solido. Smith osserva che MAGA ha saputo vincere alcune elezioni sfruttando la rabbia popolare contro i Democratici, l’immigrazione e le élite istruite, ma non ha costruito nulla di duraturo. Perché un movimento politico sopravviva nel tempo, sostiene Smith, deve saper creare infrastrutture, istituzioni e cultura, lasciando un’eredità che superi le emozioni del momento.
Smith paragona MAGA ad altri movimenti americani di successo che hanno lasciato un segno tangibile. Il New Deal di Franklin D. Roosevelt ha creato infrastrutture, agenzie governative, programmi di sicurezza sociale e nuovi regimi regolatori. Il conservatorismo della fine del Novecento ha contribuito a modellare la cultura imprenditoriale, promosso un revival cristiano, rafforzato l’apparato militare e dato vita a organizzazioni come la Federalist Society. Anche la New Left degli anni ’60 e ’70 ha lasciato un’impronta, conquistando spazi nelle università e creando ONG. Al contrario, il MAGA di Trump appare come un movimento “decostruttivo”, che attacca la cultura progressista, le istituzioni liberali e l’economia americana senza proporre alternative.
Un primo esempio di questa carenza riguarda la cultura. Negli anni ’90, il conservatorismo statunitense era sostenuto da una vivace cultura evangelica e patriottica, fatta di megachiese, musica cristiana, celebrazioni comunitarie e rispetto per l’esercito. MAGA, invece, non ha creato un equivalente: non esistono “Trump Youth League” o centri comunitari a tema Trump, e la partecipazione civica organizzata appare scarsa. Smith definisce il movimento “una cosa da internet”, priva di radici locali e comunitarie, più simile a un fandom digitale che a una vera cultura condivisa. Anche le poche manifestazioni organizzate, come i raduni o le proteste anti-lockdown, non si sono trasformate in reti associative stabili.
Sul piano economico, il giudizio è altrettanto severo. Smith sostiene che Trump non ha costruito nuove fabbriche, infrastrutture o tecnologie, nonostante la retorica sulla rinascita industriale. I tagli fiscali alle imprese del primo mandato hanno avuto effetti limitati sugli investimenti, mentre nella seconda presidenza le politiche sui dazi stanno danneggiando il settore manifatturiero. Un report di Bloomberg citato da Smith mostra come l’attività industriale negli Stati Uniti sia in contrazione da mesi, con ordini e occupazione in calo. I dirigenti industriali intervistati attribuiscono questa situazione all’incertezza creata dai dazi, che aumentano i costi delle forniture e riducono la competitività.
Anche la National Association of Manufacturers ha criticato apertamente le misure di Trump, sottolineando che molte aziende dipendono da componenti esteri e che le tariffe doganali obbligano ad aumentare i prezzi finali. Secondo Smith, questo contraddice la narrativa secondo cui i dazi stimolerebbero la produzione interna. L’economia moderna, spiega, si basa su catene di fornitura globali e specializzazione: tassare le importazioni penalizza le imprese invece di rafforzarle.
Smith contrappone la politica di Trump a quella dell’amministrazione Biden, che con sussidi per decine di miliardi di dollari ha favorito la costruzione di fabbriche di semiconduttori e batterie, attirando investimenti privati. Con il ritorno di Trump alla Casa Bianca, i sussidi per le tecnologie verdi sono stati cancellati e l’ufficio incaricato di implementare il CHIPS Act ha visto una riduzione del 40% del personale. Questo, unito ai dazi, avrebbe contribuito a rallentare il boom di nuove fabbriche.
Anche sul fronte delle infrastrutture, l’amministrazione Trump non ha lasciato tracce significative. Durante il primo mandato, l’“infrastructure week” è diventata un meme, mentre i veri investimenti sono arrivati con la presidenza Biden e un accordo bipartisan al Congresso. Nel secondo mandato, Trump non ha promosso piani per la manutenzione o l’espansione delle reti, riducendo invece i fondi per l’ampliamento della rete elettrica.
Il capitolo energia mostra ulteriori criticità. MAGA ha bloccato autorizzazioni per nuovi impianti eolici e solari, anche su terreni privati, ostacolando la transizione verso fonti più economiche. Nonostante i favori normativi al settore fossile, l’industria petrolifera è in difficoltà, con il calo delle trivellazioni e degli investimenti. Secondo analisti citati da Smith, i dazi e l’incertezza economica stanno riducendo la domanda globale di petrolio, danneggiando i produttori statunitensi. Per il carbone, la situazione è analoga: nonostante gli ordini esecutivi di Trump, le aziende elettriche preferiscono puntare su rinnovabili, gas e nucleare per ragioni di costo ed efficienza.
L’approccio distruttivo si riflette anche nella ricerca scientifica e tecnologica. Smith accusa MAGA di smantellare le istituzioni federali di ricerca invece di riformarle, riducendo finanziamenti e personale. Il risultato, a suo avviso, è un indebolimento del sistema che in passato ha reso gli Stati Uniti leader nell’innovazione. L’unico grande risultato costruttivo dell’amministrazione Trump, la realizzazione del vaccino anti-Covid, è stato paradossalmente rinnegato dallo stesso movimento, oggi apertamente ostile ai vaccini.
Infine, Smith evidenzia l’assenza di nuove istituzioni legate a MAGA. A differenza dei conservatori del passato, che crearono think tank, associazioni professionali e reti accademiche, Trump non sembra interessato a fondare strutture durature. La purga della burocrazia federale non si è tradotta nella nascita di una “Federalist Society” per l’amministrazione pubblica; l’attacco alle università ha portato a tagli e indebolimento, senza proporre alternative. “Bruciare tutto e ricominciare da zero” sembra essere il motto implicito, ma senza un progetto per il dopo.
MAGA appare quindi come una “lunga reazione di rabbia” contro i cambiamenti sociali e culturali degli ultimi anni, priva di una visione per il futuro. Quando questa rabbia svanirà, conclude Smith, i suoi sostenitori si accorgeranno di non aver costruito nulla di concreto.