L'incertezza provocata da Tump danneggia l'economia

Gli Stati Uniti alzano le barriere commerciali: crollano le importazioni, scende il dollaro, si riaccende lo scontro con Europa, Cina e paesi emergenti. L’inflazione resta stabile, ma l’economia globale rallenta.

L'incertezza provocata da Tump danneggia l'economia
White House

A inizio settimana, il presidente Donald Trump ha annunciato la conclusione imminente dei negoziati commerciali con le principali economie mondiali. Dopo tre mesi di trattative agitate, la Casa Bianca punta a firmare tra quindici e diciotto accordi bilaterali. Tuttavia, l’incertezza generata dalle mosse dell’amministrazione ha già prodotto effetti rilevanti: gli investimenti sono rallentati, il dollaro si è indebolito e il commercio globale mostra segnali di reazione più tattica che strutturale.

Dal lancio dell’offensiva doganale, ad aprile, solo due intese sono state raggiunte: un accordo-quadro con il Regno Unito e un patto con la Cina per la riduzione reciproca dei dazi. Gli altri fronti restano aperti. Sul Giappone incombe la minaccia di un aumento delle tariffe al 35%, in assenza di un impegno all’acquisto di riso americano. Maros Sefcovic, commissario europeo al commercio, è atteso a Washington per negoziare la riduzione delle barriere statunitensi nei settori chiave dell’auto e dell’acciaio.

Nel frattempo, l’impatto economico delle misure già in vigore si è fatto sentire. Il porto di Oakland, in California, ha registrato una contrazione del 14,7% nel traffico merci ad aprile. Le importazioni statunitensi di beni di consumo sono crollate del 32%, scendendo a 69,6 miliardi di dollari, la flessione più forte mai registrata. Di conseguenza, il deficit commerciale si è quasi dimezzato nello stesso mese, passando da 138,3 a 61,6 miliardi di dollari.

Ma l’instabilità delle politiche commerciali preoccupa i mercati. L’indice del dollaro ha perso il 10,8% nel primo semestre, segnando la peggior performance da cinquant’anni. Gli investitori internazionali hanno ridotto la loro esposizione ai titoli statunitensi: in aprile, le vendite di Treasury a trent’anni da parte di stranieri hanno toccato i 14,2 miliardi di dollari, mentre i rendimenti sono saliti al 5%, il livello più alto dal 2007. Cresce invece l’interesse per l’oro e per mercati ritenuti più stabili come Europa e Giappone.

A livello globale, l’attivismo tariffario americano sembra aver stimolato temporaneamente il commercio. Il barometro dell’Organizzazione mondiale del commercio ha registrato un indice di 103,5 nel secondo trimestre, sopra la media. Tuttavia, l’OMC avverte che si tratta di un effetto anticipatorio: molte aziende hanno accelerato gli acquisti per evitare i dazi. L’indice delle nuove esportazioni è sceso a 97,9, lasciando presagire un rallentamento. Per il 2025, l’evoluzione degli scambi mondiali oscilla tra –0,2% e +2,7%, a seconda delle misure tariffarie applicate.

In particolare, gli Stati Uniti hanno visto un aumento dei dazi medi dal 2,2% a oltre il 10% tra gennaio e giugno. L’effetto sul trasporto marittimo è significativo: il costo dei container in partenza dalla Cina verso gli Stati Uniti è sceso di 2.000 dollari, mentre è aumentato verso altre destinazioni. Secondo Philip Damas, dirigente della società di consulenza Drewry, la Cina ha già iniziato a deviare parte delle proprie esportazioni verso altri mercati.

Sul fronte interno, l’impatto sui prezzi resta contenuto ma monitorato con attenzione. A maggio, l’inflazione americana ha toccato il 2,3%, in leggero aumento rispetto al mese precedente (2,2%) e in linea con l’obiettivo della Federal Reserve. Donald Trump ha rivendicato i risultati, parlando di «super lavoro sull’inflazione». Tuttavia, la stabilità dei prezzi è accompagnata da segnali di debolezza: i consumi sono calati dello 0,1% e i redditi dello 0,4% nello stesso mese.

Molti economisti ritengono che sia ancora troppo presto per valutare l’effetto pieno delle misure tariffarie. La Fed non ha modificato i tassi d’interesse dall’inizio dell’anno. Il presidente della banca centrale, Jerome Powell, ha dichiarato a metà giugno che si aspetta aumenti «significativi» dell’inflazione nei mesi estivi, ma ha anche lasciato aperta la possibilità che l’impatto sia limitato. Un atteggiamento che irrita Trump, il quale ha definito Powell «un asino testardo» e «una persona stupida», ribadendo la volontà di nominare alla Fed dirigenti più inclini a ridurre i tassi.

L’indebolimento del dollaro resta un dato strutturale. La sfiducia verso l’economia americana è alimentata non solo dalle incertezze di politica economica, ma anche dalla crescita del debito pubblico. Gli investitori continuano a disinvestire dagli Stati Uniti, esercitando ulteriori pressioni sulla valuta.

A livello internazionale, l’inflazione resta stabile ma incerta. Nell’eurozona è salita al 2% a giugno. L’OCSE prevede una discesa dell’inflazione media nel G20 dal 6,2% del 2024 al 3,2% nel 2025. Tuttavia, l’instabilità geopolitica, come la guerra in corso tra Israele e Iran, e i negoziati commerciali in corso, rendono le previsioni più difficili. «Il mondo che ci aspetta sarà più incerto, e questa incertezza renderà l’inflazione più volatile», ha dichiarato il 30 giugno Christine Lagarde, presidente della Banca centrale europea.

Le conseguenze della politica commerciale americana si fanno sentire con forza nei paesi emergenti. Negli ultimi venticinque anni, questi paesi hanno quadruplicato il PIL e ridotto la povertà estrema. Ora rischiano un brusco rallentamento. Secondo la Banca mondiale, i due terzi del mondo emergente subiranno le conseguenze delle nuove barriere. La crescita prevista per il 2025 è del 3,8%, in calo rispetto al 4,2% del 2024. Gli investimenti diretti esteri sono dimezzati rispetto ai livelli del 2008 e si prevede che restino deboli.

In Asia, l’impatto è particolarmente evidente. Masato Kanda, presidente della Banca asiatica di sviluppo, ha sottolineato come l’incertezza politica riduca gli investimenti e aumenti la volatilità finanziaria. Le economie asiatiche sono più robuste rispetto agli anni ’90, ma devono accelerare l’integrazione regionale e diversificare gli scambi.

L’OCSE ha rilevato un apprezzamento significativo di alcune valute emergenti – come il real brasiliano, il peso messicano e il dollaro taiwanese – dovuto alla fuga di capitali dagli Stati Uniti. Tuttavia, questi afflussi improvvisi possono essere difficili da gestire per le economie locali. Secondo Gita Gopinath, direttrice generale aggiunta del Fondo monetario internazionale, la guerra commerciale lanciata da Trump rappresenta «una sfida maggiore della pandemia di Covid-19» per i paesi in via di sviluppo.

A complicare ulteriormente il quadro ci sono i conflitti su un altro fronte: i servizi. Trump ha giustificato l’aumento dei dazi come un livellamento verso l’alto, per eguagliare le tariffe medie degli altri paesi. Tuttavia, questi dazi colpiscono solo le merci, non i servizi, settore in cui gli Stati Uniti sono esportatori netti. In risposta, molti paesi hanno introdotto barriere non tariffarie, come le imposte sui servizi digitali che colpiscono i giganti statunitensi del tech.

Il Canada ha introdotto una tassa su Google, Amazon e Microsoft, salvo ritirarla poche ore dopo sotto minaccia di ritorsioni da parte americana. Altri paesi – tra cui Francia, India e Regno Unito – hanno adottato misure simili. Trump ha annunciato che questi paesi saranno oggetto di nuovi provvedimenti.

La Cina, invece, ha risposto imponendo limiti all’export di terre rare, materiali cruciali per l’industria elettrica. Gli Stati Uniti hanno minacciato a loro volta restrizioni sulla vendita di software per l’aviazione e i semiconduttori. Le due potenze hanno trovato un compromesso a inizio giugno, annunciando la rimozione di queste misure.

In questo contesto, la politica commerciale di Donald Trump sembra produrre più incertezza che vantaggi immediati. Se da un lato ha ridotto il deficit e contenuto l’inflazione, dall’altro ha destabilizzato i mercati, compromesso la fiducia degli investitori e messo sotto pressione l’economia globale. Gli accordi attesi nei prossimi giorni chiariranno se questa strategia avrà un seguito o se le tensioni commerciali continueranno ad alimentare l’instabilità internazionale.

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