La politica di Trump sull'immigrazione non piace agli americani

Un’analisi di G. Elliott Morris mostra come la maggioranza degli elettori si opponga alle misure più estreme dell’agenda migratoria del presidente, nonostante un'apparente approvazione generale sulla gestione del tema

La politica di Trump sull'immigrazione non piace agli americani

Sebbene gli americani continuino nel complesso ad approvare la gestione dell’immigrazione di Donald Trump, la maggior parte degli statunitensi si oppone alle politiche più estreme che la sua amministrazione sta attuando. È quanto emerge da un’analisi pubblicata da G. Elliott Morris, analista esperto di opinione pubblica che ha lavorato per FiveThirtyEight e l'Economist.

Il caso più recente è quello di Kilmar Abrego Garcia, residente legale nel Maryland, che è stato rimpatriato illegalmente in El Salvador nonostante fosse protetto da un ordine della magistratura statunitense. L'agenzia che si occupa dell'immigrazione ha ammesso l’errore e la Corte Suprema ha ordinato al presidente Trump di intervenire per riportarlo negli Stati Uniti. Il presidente si è però rifiutato di agire in tal senso durante un incontro ufficiale alla Casa Bianca con il presidente salvadoregno Nayib Bukele.

Nel corso dello stesso incontro, Trump ha anche espresso l’intenzione di inviare cittadini statunitensi detenuti in patria al carcere salvadoregno Centro de Confinamiento del Terrorismo (CECOT), noto per le sue condizioni estreme: celle illuminate artificialmente 24 ore su 24, isolamento frequente e solo 30 minuti di aria al giorno per i detenuti. Alcuni di questi trasferimenti, già effettuati, riguardano anche immigrati venezuelani accusati di legami con la gang Tren de Aragua, per i quali l’amministrazione avrebbe versato 6 milioni di dollari a El Salvador.

A livello generale, i sondaggi suggeriscono che il presidente goda ancora di un certo favore sull’argomento: secondo una rilevazione Reuters/Ipsos, la gestione dell’immigrazione è tra le aree in cui Trump ottiene risultati relativamente migliori rispetto ad altri temi come economia o politica estera. Tuttavia, il consenso cambia drasticamente se si entra nel merito. L’82% degli americani intervistati ritiene che il presidente debba rispettare gli ordini dei giudici, anche se in disaccordo. Il 56% è contrario alle espulsioni, sebbene la domanda rimanga generica.

Altri sondaggi che hanno analizzato singole questioni mostrano che:

  • Il 65% degli americani si oppone all’espulsione di immigrati presenti nel Paese da oltre dieci anni senza altri reati oltre l’ingresso irregolare.
  • Circa il 70% è contrario al trasferimento di cittadini statunitensi in carceri straniere senza processo.
  • Il 58% si oppone alla detenzione di migranti nella base di Guantanamo Bay.
  • Solo una maggioranza relativa, pari al 55%, sostiene l’espulsione di immigrati accusati di crimini violenti — senza però conoscere necessariamente le condizioni o le modalità di detenzione previste.

Morris evidenzia anche come sebbene Trump mantenga una base repubblicana compatta, i Democratici — pur percepiti come deboli sul tema immigrazione — potrebbero cogliere l’occasione di un’opposizione popolare concreta alle azioni più estreme dell’amministrazione. Il partito potrebbe rafforzare la propria posizione proponendo riforme credibili e difendendo apertamente i diritti costituzionali violati, come nel caso del diritto all’habeas corpus per residenti legali e cittadini statunitensi.

Infine, Morris partendo dall'idea di rappresentanza politica come equilibrio tra guidare l’opinione pubblica e seguirne le indicazione, evidenzia come in questo caso, i Democratici non debbano scegliere tra le due cose: la maggioranza degli elettori è già contraria alle misure più estreme, quindi il partito può sia rispondere al sentimento diffuso, sia assumere un ruolo di guida promuovendo un’azione decisa in difesa dello stato di diritto.

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