Il partito repubblicano americano è diviso
Un sondaggio del Manhattan Institute rivela che quasi un terzo degli elettori repubblicani è composto da nuovi arrivati più progressisti, meno fedeli al partito e più aperti al voto democratico. Solo il 56% di loro voterà sicuramente repubblicano nel 2026.
La coalizione che ha portato Donald Trump alla vittoria nel 2024 è molto meno compatta di quanto appaia. Un'indagine nazionale condotta dal Manhattan Institute tra il 15 e il 26 ottobre scorso su quasi 3.000 elettori repubblicani ha rivelato una spaccatura profonda all'interno del partito, con implicazioni potenzialmente decisive per le elezioni di medio termine del 2026 e per il futuro stesso del movimento conservatore americano.
Lo studio, uno dei più approfonditi mai realizzati sulla nuova composizione multietnica e operaia del partito repubblicano, divide l'elettorato in due gruppi distinti. Il primo, chiamato Core Republicans, rappresenta il 65% della coalizione ed è composto da elettori che votano costantemente repubblicano dal 2016 o da prima. Il secondo gruppo, i New Entrant Republicans, costituisce il 29% e comprende chi ha votato per la prima volta un candidato presidenziale repubblicano negli ultimi due cicli elettorali, inclusi coloro che hanno sostenuto i democratici nel 2016 o nel 2020.
La differenza tra questi due gruppi va ben oltre la semplice anzianità di voto. I nuovi arrivati sono più giovani, più diversificati dal punto di vista etnico e mantengono posizioni marcatamente più progressiste su quasi ogni questione politica importante. Sono più favorevoli a politiche economiche di sinistra, più aperti verso la Cina, più critici nei confronti di Israele e più liberali su temi che vanno dall'immigrazione alle iniziative DEI (diversità, equità e inclusione).
Sul fronte economico, la divisione è netta. Mentre i repubblicani storici sostengono i tagli alla spesa pubblica con un margine del 71% contro il 26%, tra i nuovi arrivati il modello si ribalta leggermente, con il 48% che preferisce aumentare le tasse sui redditi medio-alti contro il 47% favorevole ai tagli. Sulla questione dell'immigrazione qualificata, il 47% dei New Entrants vuole incrementarla, rispetto al 31% dei Core Republicans. Per quanto riguarda i dazi commerciali promossi dal presidente, solo il 45% dei nuovi arrivati li sostiene, contro il 62% dei repubblicani tradizionali.
Le divergenze si estendono anche alla politica estera. Mentre i repubblicani storici considerano la Cina un avversario da contrastare con un margine del 60% contro il 18%, i nuovi elettori ribaltano completamente questa posizione: il 48% vede la Cina come un paese con cui cooperare, contro solo il 23% che la considera un rivale. Su Israele, il 24% dei New Entrants esprime opinioni negative, descrivendo il paese come uno stato coloniale e un peso per gli Stati Uniti, una percentuale doppia rispetto ai repubblicani di lungo corso.
Particolarmente preoccupante per la leadership del partito è la questione della fedeltà elettorale. Solo il 56% dei nuovi arrivati repubblicani ha dichiarato che voterebbe "sicuramente" per un candidato repubblicano alle elezioni congressuali del 2026, rispetto al 70% dei Core Republicans. Un ulteriore 28% ha risposto che "probabilmente" voterebbe repubblicano, lasciando un margine di incertezza considerevole. Tra gli elettori repubblicani sotto i 50 anni, la percentuale di voto sicuro scende al 59%, con uno su dieci che afferma di essere pronto a votare democratico.
Il sondaggio ha anche esaminato atteggiamenti più controversi all'interno della coalizione. Il 17% degli elettori repubblicani rientra nella categoria definita Anti-Jewish Republicans, caratterizzata da chi si identifica apertamente come razzista e antisemita ed esprime negazionismo dell'Olocausto o descrive Israele come stato coloniale. Questa percentuale è leggermente inferiore a quella rilevata tra i democratici, pari al 20%. Gli Anti-Jewish Republicans sono tipicamente più giovani, in maggioranza uomini, più istruiti e significativamente più presenti tra i New Entrants. La frequenza regolare alle funzioni religiose è uno dei più forti predittori del rifiuto di questi atteggiamenti.
Sul tema della violenza politica, il 70% della coalizione repubblicana la respinge, ma il 30% ritiene che possa essere giustificata in alcune circostanze. Tra i repubblicani storici, l'opposizione alla violenza raggiunge l'80%, mentre tra i nuovi arrivati solo il 46% la respinge completamente. L'età è uno dei fattori predittivi più forti: appena il 13% degli over 50 giustifica la violenza politica, contro il 57% degli under 50. Un dato significativo è che un terzo di chi giustifica la violenza politica ha votato per Joe Biden nel 2020.
La ricerca ha inoltre misurato la credenza in teorie cospirative. Il 18% della coalizione repubblicana crede in cinque o sei delle teorie testate, una percentuale che sale al 34% tra i New Entrants e scende all'11% tra i Core Republicans. Il 51% degli elettori repubblicani ritiene fraudolente le elezioni presidenziali del 2020, percentuale che sale al 60% tra i nuovi arrivati. Il 37% crede che l'Olocausto sia stato molto esagerato o non sia avvenuto come descritto dagli storici, con picchi del 77% tra gli elettori repubblicani ispanici e del 66% tra quelli neri.
Nonostante queste profonde divisioni interne, la coalizione rimane unita nel sostegno al presidente Trump e al vicepresidente JD Vance. Nove elettori repubblicani su dieci hanno un'opinione favorevole del presidente, con percentuali simili per Vance. Anche tra gli elettori repubblicani ispanici, l'approvazione di Trump si mantiene all'89%.
Questi dati suggeriscono che Trump abbia vinto nel 2024 principalmente grazie a uno spostamento generale contro i democratici, alimentato da sentimenti anti-establishment e preoccupazioni economiche. Questo significa che molti elettori di Trump sono "soft voters", elettori che potrebbero tornare a votare democratico nel 2026 e nel 2028. La tenuta della coalizione repubblicana oltre l'era Trump appare quindi tutt'altro che garantita, con un nucleo solido e conservatore circondato da un anello esterno più giovane, ideologicamente instabile e difficile da gestire.