Il mercato del lavoro statunitense si sta bloccando
I dati di agosto confermano un rallentamento marcato dell’economia americana, con revisioni al ribasso per giugno e luglio. La Federal Reserve si prepara a tagliare i tassi d’interesse, mentre le politiche economiche dell’amministrazione Trump pesano su assunzioni e produzione
Il mercato del lavoro statunitense ha mostrato segni di stagnazione in estate, con un aumento di soli 22.000 posti di lavoro ad agosto, un dato ben al di sotto delle aspettative degli economisti e un chiaro segnale che la domanda di manodopera da parte delle aziende si è notevolmente ridotta negli ultimi mesi. Il tasso di disoccupazione è salito lievemente al 4,3%, mentre la crescita dei salari si è attestata al 3,7% su base annua, il livello più basso dall’estate del 2024.
Le revisioni dei dati precedenti hanno peggiorato ulteriormente la situazione: a giugno, l’occupazione è addirittura calata di 13.000 posti, la prima contrazione netta dal dicembre 2020, in piena pandemia. In totale, i numeri di giugno e luglio sono stati rivisti al ribasso di 21.000 unità. L’unico settore a registrare una crescita significativa è stato quello sanitario, con 31.000 nuovi posti, mentre quasi tutti gli altri, compreso il manifatturiero, hanno perso occupazione. Il settore manifatturiero, in particolare, ha perso 12.000 posti ad agosto e 78.000 nell’arco dell’anno, nonostante le promesse del presidente di rilanciare il settore.
Il governo federale, invece di trainare l’occupazione, ha contribuito al calo con tagli consistenti: solo ad agosto, sono stati persi 15.000 posti nel pubblico impiego, portando il totale dei licenziamenti nel 2025 a quasi 100.000 unità. Secondo gli analisti, il trend potrebbe peggiorare ad ottobre, quando scadranno i contratti di molti dipendenti pubblici che hanno accettato un accordo per ricevere lo stipendio fino a fine settembre.
Nonostante il rallentamento, il tasso di partecipazione alla forza lavoro per la fascia d’età tra i 24 e i 65 anni è salito all’83,7%, avvicinandosi al picco post-Covid dell’83,9% registrato lo scorso anno. Questo aumento, spiegano gli economisti, è un segnale positivo: più persone stanno cercando lavoro, anche se trovare un’occupazione risulta sempre più difficile. Il numero di disoccupati di lunga durata, cioè coloro che sono senza lavoro da oltre sei mesi, ha raggiunto 1,9 milioni ad agosto, in costante crescita negli ultimi mesi.
La debolezza del mercato del lavoro ha immediate ripercussioni sulle decisioni della Federal Reserve. Secondo gli esperti, il rapporto di agosto rafforza la possibilità che la banca centrale riavvii i tagli ai tassi d’interesse già a settembre, come ampiamente atteso. Alcuni strategisti ipotizzano addirittura un taglio più aggressivo del solito, di mezzo punto percentuale invece del tradizionale quarto di punto, per sostenere un’economia che mostra segni di affaticamento. I mercati finanziari hanno reagito con cautela: l’indice S&P 500 è salito dello 0,4% all’apertura, mentre il Nasdaq, sensibile alle aspettative sui tassi, ha guadagnato lo 0,6%. Il rendimento dei titoli di Stato a due anni è sceso sotto il 3,5% per la prima volta in tre anni, riflettendo le attese di una politica monetaria più accomodante.
Jerome Powell, presidente della Fed, aveva già segnalato a fine agosto che il bilancio dei rischi stava cambiando, con un mercato del lavoro in un “curioso equilibrio”: la domanda di nuovi assunti si sta riducendo, ma anche l’offerta di manodopera è in calo a causa delle restrizioni all’immigrazione volute dall’amministrazione. “Se questi rischi si materializzassero, potrebbero tradursi rapidamente in un aumento dei licenziamenti e della disoccupazione”, aveva avvertito Powell. Ora, con i dati di agosto, la strada per un intervento sembra spianata.
Le reazioni degli analisti non sono state positive. Bradley Saunders, economista di Capital Economics, ha parlato di un mercato del lavoro “precipitato da un dirupo”, mentre Daniel Zhao, di Glassdoor, ha sottolineato che “il mercato sta perdendo slancio” e che il “soft landing” auspicato sembra sempre più lontano. Anche le aziende stanno sentendo la pressione: secondo Indeed, la crescita dell’occupazione nei primi otto mesi del 2025 è la più bassa dal 2010, quando l’economia era ancora alle prese con gli strascichi della Grande Recessione.
Il presidente Trump non ha ancora commentato ufficialmente i dati, in passato ha messo in dubbio l’affidabilità delle statistiche del Bureau of Labor Statistics, arrivando a licenziare la commissaria Erika McEntarfer dopo la pubblicazione di dati deludenti a inizio agosto. Al suo posto ha nominato E.J. Antoni, un economista conservatore la cui nomina dovrà essere confermata dal Senato. Trump ha però minimizzato l’impatto dei numeri negativi, sostenendo che i “veri dati” si vedranno tra un anno, quando i nuovi investimenti nel settore tech e nelle infrastrutture daranno, a suo dire, una spinta senza precedenti all’occupazione.
La combinazione di tassi d’interesse elevati, dazi e incertezza politica sta quindi mettendo a dura prova l’economia. Mentre la Fed si prepara ad agire, gli economisti avvertono: se la creazione di posti di lavoro dovesse stabilizzarsi intorno ai 50.000 al mese, il rischio di una recessione diventerebbe concreto.