Il declino manifatturiero negli Stati Uniti non è colpa del commercio internazionale
Nonostante le politiche protezionistiche del presidente Trump, la perdita di posti di lavoro nel settore manifatturiero è dovuta soprattutto ai progressi tecnologici

Ad aprile, il presidente Donald Trump ha annunciato nuove misure per rilanciare il settore manifatturiero negli Stati Uniti, puntando a riportare il Paese al ruolo di potenza industriale. Il suo messaggio fa leva sulla nostalgia di un’epoca in cui il lavoro in fabbrica garantiva stabilità economica e status sociale. Negli anni Cinquanta, infatti, quasi un terzo dei lavoratori americani era impiegato nell’industria manifatturiera, mentre oggi la quota è scesa a uno su dodici.
Ma come spiega l'Economist, il progetto di Trump, però, si scontra con dinamiche economiche consolidate. Da decenni, il calo dei posti di lavoro in fabbrica nei paesi ricchi preoccupa politici e analisti, poiché il settore è storicamente associato a elevata produttività e ricadute positive sull’economia. I lavori manifatturieri, inoltre, sono visti come un’opportunità per avere un reddito dignitoso per lavoratori poco qualificati. La loro progressiva scomparsa, secondo alcuni, starebbe spingendo molti verso impieghi meno retribuiti nei servizi, contribuendo all’indebolimento della classe media e all’aumento delle disuguaglianze.
Eppure, la perdita di posti in fabbrica sembra essere una fase inevitabile dello sviluppo economico. I dati storici del Groningen Growth and Development Centre, un centro di ricerca olandese, mostrano che l’occupazione manifatturiera segue generalmente una curva a U rovesciata. In una prima fase, con l’industrializzazione, i lavoratori si spostano dall’agricoltura all’industria. Poi, con l’aumento del benessere, si verifica un ulteriore spostamento dall’industria ai servizi e i posti nelle fabbriche diminuiscono.
Secondo il presidente Trump, la colpa della deindustrializzazione americana ricade interamente sul commercio internazionale. Con l’integrazione della Cina e di altri paesi in via di sviluppo nel sistema commerciale globale, molte aziende americane avrebbero delocalizzato la produzione per approfittare dei costi più bassi. A detta dell’amministrazione, questo fenomeno avrebbe provocato l’“offshoring della nostra base manifatturiera”, dando alla Cina un vantaggio strategico nella produzione globale in settori chiave.
Sebbene sia vero che una parte della produzione americana è trasferita in Cina, la maggior parte degli economisti concorda nel ritenere che la causa principale della perdita di posti di lavoro nel manifatturiero sia l’aumento della produttività. Le nuove tecnologie hanno permesso di incrementare la produzione per addetto, riducendo così il costo relativo dei beni manufatti. Uno studio condotto da Michael Hicks e Srikant Devaraj della Ball State University, in Indiana, ha stimato che l’88% della perdita di posti di lavoro nel settore manifatturiero americano tra il 2000 e il 2010 sia attribuibile ai progressi in termini di produttività. Solo il 13% sarebbe invece riconducibile agli effetti del commercio internazionale.

Anche i cambiamenti nei modelli di consumo giocano un ruolo rilevante. Secondo la legge di Engel, con l’aumento del reddito nei paesi poveri le persone tendono a destinare meno risorse all’alimentazione e più all’acquisto di beni manufatti. Nei paesi ricchi, invece, l’aumento del reddito porta a una riduzione della spesa per beni materiali e a un incremento di quella per i servizi. Nel 1950, i beni rappresentavano circa il 60% dei consumi degli americani, mentre oggi costituiscono solo un terzo della spesa complessiva, a fronte di una quota del 66% riservata ai servizi.
La deindustrializzazione, quindi, non è una manifestazione di declino economico, bensì una caratteristica dell’avanzamento economico. Tentare di riportare in vita i lavori in fabbrica è irrazionale, soprattutto considerando che molti impieghi nel settore dei servizi risultano oggi più produttivi e meglio remunerati. L’insistenza del presidente Trump su un passato industriale idealizzato rischia di condurre l’economia americana verso una minore produttività e una riduzione complessiva della ricchezza nazionale.