I primi 100 giorni di Trump: il tasso di approvazione del presidente affonda nei sondaggi
Tornato alla Casa Bianca per il secondo mandato, Donald Trump ha vissuto una luna di miele breve: i suoi consensi sono ora in picchiata, soprattutto tra giovani e minoranze. Ora deve ottenere risultati rapidi su economia e immigrazione per cercare di risalire.

Dal 20 gennaio Donald Trump è tornato alla Casa Bianca per il suo secondo mandato presidenziale. Nei primi cento giorni la sua Amministrazione ha preso decisioni controverse e senza precedenti, mettendo subito alla prova la propria stabilità. Fin dalle prime ore è apparso evidente che lo stile non sarebbe cambiato rispetto al primo quadriennio, anzi tutto il contrario: linguaggio muscolare, annunci su social prima dei canali istituzionali e un’agenda-shock in cui politica interna ed estera si intrecciano senza soluzione di continuità.
La popolarità di Trump sta crollando
In ogni democrazia che si rispetti, ogni governo deve confrontarsi con il più spinoso dei dossier: i sondaggi. Ogni giorno i leader politici sono valutati dall'opinione pubblica e la loro forza e stabilità si misura dai numeri nelle rilevazioni. La ricerca del consenso è fondamentale per sopravvivere in politica.
In questi anni abbiamo conosciuto abbondantemente Donald Trump: un trascinatore, una personalità carismatica segnata da un ego smisurato e da una megalomania a livelli quasi patologici (basti pensare alle scarpe o alle figurine da supereroe con la sua faccia, o al video con il Trump Hotel a Gaza Riviera).
Una figura così narcisista non può che essere particolarmente ossessionata dai numeri e dal consenso personale. Trump ha sondaggisti personali e consulta compulsivamente i dati su se stesso, come segnalano anche i retroscena. Non a caso in questi anni non sono mancati attacchi diretti sui social ai diversi istituti che offrivano numeri negativi, storpiando i loro nomi al grido di “FAKE POLLS”.

Negli Stati Uniti, la popolarità di un presidente si misura con il tasso di approvazione e di disapprovazione. Il net rating è la differenza tra i due: positivo se prevalgono valutazioni favorevoli, negativo se prevalgono opinioni contrarie. Tutti i nuovi presidenti godono di norma di un periodo iniziale di maggior fiducia e speranza da parte dell’elettorato, il cosiddetto periodo di “luna di miele”, con un net rating ampiamente positivo che va via via a scemare nel corso del tempo.
La popolarità di Trump, così come la sua parabola politica, ha sempre seguito una traiettoria anomala: è stato eletto nel 2016 con il tasso di approvazione più basso di sempre, che è rimasto però costante e ha avuto picchi positivi nel tempo. Dopo i fatti del 6 gennaio 2020 l’approvazione di Trump ha toccato il minimo storico, ma questo non gli ha impedito di ricostruirsi un'immagine positiva nel corso degli anni e di tornare alla presidenza nel 2024 con un rinato entusiasmo da parte degli elettori.
Nonostante le indagini e la condanna, gli anni lontano dalla presidenza - insieme all’operato poco soddisfacente di Biden - hanno giovato a Trump, che è stato rieletto lo scorso novembre con numeri sorprendentemente alti anche tra segmenti dell’elettorato che precedentemente gli erano ostili. Ha infatti ottenuto, secondo gli exit poll, tra il 43% e il 47% tra i giovani sotto i 29 anni, tra il 43% e il 46% tra gli ispanici, tra il 13% e il 16% tra i neri, tra il 42% e il 46% tra gli indipendenti, il 45%-46% tra le donne.
La seconda presidenza è quindi iniziata con delle vibes positive e con una energia favorevole per Trump, che si era costruito un notevole consenso personale accreditandosi presso settori dell’elettorato che non hanno mai sostenuto i repubblicani, vincendo in zone del Paese un tempo inaccessibili per il GOP.
Questo ha consentito a Trump di mantenere un net rating positivo per un mese e mezzo, con un tasso di approvazione vicino al 50%, una rarità per lui. Il turning point, secondo la nostra media di Focus America, è stato l’8 marzo: l’approvazione è scesa sotto al 48% e sotto al tasso di disapprovazione, con il distacco che poi è andato solo ad accentuarsi ulteriormente. Questo però è il calo fisiologico dovuto alla fine della luna di miele iniziale con gli elettori.
I veri problemi in realtà sono giunti nell’ultimo quarto di questi primi 100 giorni: la questione dei dazi ha affossato Trump e ha fatto colare a picco i suoi numeri. Dal “Liberation Day” del 2 aprile ad oggi il tasso di approvazione è sceso dal 46,9% al 44,7% attuale, mentre il tasso di disapprovazione è salito dal 49,3% al 52,1%, con il net rating che è passato da -2,4 a -7,4.
I problemi per Trump, comprensibilmente, arrivano principalmente proprio da quegli elettori che gli avevano accordato una fiducia condizionata: minoranze e giovani.
Questi elettori vedevano in Trump una speranza, una figura forte in grado di poter lasciare il segno su tematiche contingenti quali l’inflazione e il mercato del lavoro. Ma il problema non è solo l’economia. Trump risulta al momento malvisto anche nella gestione di altre tematiche cardine in cui ha sempre avuto maggior forza: immigrazione e gestione della politica estera.
Secondo un sondaggio di Civiqs, inoltre, anche negli Stati chiave Trump non gode di numeri migliori. In questi 100 giorni sembra, dunque, che Trump abbia fatto tutto il possibile per perdere consenso tra quelle categorie in cui in questi anni aveva faticosamente costruito un supporto in grado di portarlo alla vittoria elettorale. I numeri sono in picchiata e hanno raggiunto ormai il livello del primo mandato, pur partendo da una posizione migliore.

Vista la situazione ed il calo di popolarità più veloce del previsto, Trump per invertire la rotta avrà bisogno di ottenere risultati tangibili nel breve periodo, andando concretamente a migliorare la situazione economica e incidendo maggiormente su immigrazione e risoluzione delle guerre.