I nuovi dazi di Trump colpiscono le aziende americane

Le nuove misure tariffarie volute dal presidente Trump stanno generando forti turbolenze sui mercati finanziari, penalizzando i colossi statunitensi dell’abbigliamento, della tecnologia e dell’automotive che dipendono da produzioni internazionali a basso costo.

I nuovi dazi di Trump colpiscono le aziende americane
Immagine creata dall'intelligenza artificiale. Fonte: ChatGPT

Le nuove politiche commerciali adottate dall’amministrazione Trump stanno avendo conseguenze immediate sui mercati e sulle principali aziende statunitensi che operano a livello globale. L’introduzione dei nuovi dazi ha determinato un crollo generalizzato dei titoli azionari, colpendo in particolare i settori dell’abbigliamento, dell’elettronica di consumo e dell’automotive.

Tra le aziende più colpite spicca Nike, che ha registrato un calo del 13% nelle prime ore di contrattazione di giovedì. La società, che produce il 28% dei suoi articoli in Vietnam, il 16% in Cina e il 15% in Cambogia, si trova esposta in modo significativo alle nuove barriere commerciali. Lo stesso vale per altri importanti marchi del settore moda: The Gap ha perso il 23%, Abercrombie & Fitch il 17%, Macy’s il 16%, Lululemon il 13% e Boot Barn il 20%. Gli investitori temono che i nuovi dazi imposti ai paesi asiatici comportino un aumento dei costi di produzione, traducendosi in un rialzo dei prezzi al dettaglio e in una riduzione della domanda.

Anche Apple non è stata risparmiata: le azioni sono scese del 9% nella sola giornata di giovedì, portando la perdita complessiva a oltre il 20% rispetto ai massimi registrati alla fine di dicembre. L’intera catena produttiva di Apple si basa in larga parte su fornitori situati in Asia — in particolare in Cina, India, Giappone, Corea del Sud, Taiwan e Vietnam — e l’azienda aveva già dichiarato che i dazi avrebbero potuto incidere sensibilmente sul costo dei componenti e dei prodotti finiti. Nel suo comunicato di novembre, Apple aveva anticipato la possibilità di dover ristrutturare le proprie relazioni commerciali, cambiare fornitori o sospendere la produzione di determinati articoli.

Anche Best Buy, importante rivenditore di elettronica, ha subito un calo significativo in borsa (-15%). La società dipende per il 55% da forniture cinesi e per un ulteriore 20% da quelle messicane. In precedenza, Best Buy aveva evidenziato la propria vulnerabilità legata alla dipendenza da terre rare, materiali strategici fondamentali per l’elettronica, che vengono lavorati principalmente in Cina.

Il settore del lusso e quello dell’arredamento non sono stati da meno. Ralph Lauren ha perso il 18%, mentre Tapestry — che controlla i marchi Coach e Kate Spade — ha subito un calo del 15%. Tra i produttori di articoli per la casa, la situazione appare ancora più critica: RH (già Restoration Hardware) ha visto il proprio titolo crollare del 43% e Williams-Sonoma ha registrato una perdita del 17%. Secondo quanto riportato dalla CNBC, la reazione dell’amministratore delegato di RH, Gary Friedman, è stata particolarmente eloquente: durante una conference call con gli analisti avrebbe espresso apertamente la propria frustrazione di fronte alla caduta verticale del titolo.

Nel comparto automobilistico, le ripercussioni sono altrettanto rilevanti. Sebbene alcune case produttrici come Rivian assemblino i propri veicoli esclusivamente negli Stati Uniti, nessun modello del 2025 attualmente in vendita nel paese contiene più dell’80% di componenti di origine americana. Gli analisti stimano che i dazi introdotti potrebbero generare un aumento dei costi di produzione tale da comportare un rincaro di diverse migliaia di dollari per singolo veicolo.

Le grandi case automobilistiche stanno già elaborando contromisure. Volkswagen ha annunciato l’intenzione di applicare una “tassa di importazione” sui veicoli destinati al mercato statunitense, mentre secondo Bloomberg, aziende come Volvo e Mercedes-Benz stanno esplorando opzioni per aumentare la produzione direttamente negli Stati Uniti, al fine di aggirare le nuove tariffe.

L’intensità e l’estensione delle misure adottate dall’amministrazione hanno colto di sorpresa molti investitori, scatenando una reazione a catena sui mercati finanziari. Le aziende si trovano ora di fronte alla necessità di rivedere le proprie strategie operative e commerciali. Tra le opzioni più probabili ci sono la ristrutturazione delle catene di approvvigionamento globali, il trasferimento della produzione in paesi non colpiti dai dazi o, in ultima istanza, l’adeguamento dei prezzi finali al consumo. Le ricadute di queste scelte potrebbero pesare non solo sui bilanci aziendali, ma anche sul potere d’acquisto dei cittadini americani.

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