I maxi-dazi di Trump scuotono i mercati: cresce il timore di recessione
Wall Street e i big dell'economia avvertono sulle conseguenze della nuova politica commerciale del presidente Trump.

I segnali di una recessione imminente si fanno sempre più evidenti, secondo quanto riportato da Axios.
Solo una settimana fa si temeva uno scenario di stagflazione — ovvero crescita stagnante accompagnata da inflazione elevata — ma ora l’attenzione degli analisti si è spostata su una recessione “tradizionale”, con contrazione della domanda e rallentamento dell’economia.
Dazi a sorpresa: la portata della stretta commerciale
I nuovi dazi imposti dal presidente Donald Trump hanno colto Wall Street impreparata per la loro portata eccezionale.
Ecco le aliquote più rilevanti:
- Cina: oltre 100% complessivo, incluso un nuovo dazio del 50% annunciato oggi.
- Vietnam: 46%.
- Unione Europea: 20%.
Con poche possibilità di revoca nel breve termine, l’impatto è già visibile: i prezzi delle materie prime sono crollati, con il petrolio WTI in calo del 15% in una settimana, scendendo sotto i 61 dollari al barile, e il rame è sceso del 18% in due settimane.
Anche i rendimenti dei titoli di Stato USA sono scesi, segnalando che gli investitori si aspettano presto un taglio dei tassi da parte della Federal Reserve, ritenendo che il rallentamento economico supererà il rischio inflazione.
Il paradosso dell’inflazione
Solitamente, un’economia in rallentamento comporta pressioni deflazionistiche: calo della domanda, riduzione dell’attività edilizia e freno ai salari. Tuttavia, i nuovi dazi alterano questa dinamica.
Il rischio è un’economia in cui:
- Le materie prime costano meno.
- I salari restano stagnanti.
- I beni di consumo diventano più cari, a causa dei dazi sulle importazioni.
Si crea così un paradosso economico: prezzi in calo a monte, ma inflazione a valle nei beni finali a causa dei dazi.
L’Amministrazione minimizza
Il Segretario al Tesoro Scott Bessent ha cercato di ridimensionare le preoccupazioni:
“Tutti guardano alla Borsa. Ma il calo del petrolio ha un impatto molto più diretto sugli americani. I tassi sono al minimo dell’anno: mi aspetto un boom nei mutui.”
Il presidente Trump, invece, ha paragonato i dazi a una “medicina necessaria” per l’economia. Ma a Wall Street la fiducia vacilla.
I big della finanza mettono in guardia
Jamie Dimon, CEO di JPMorgan Chase, ha definito i dazi “un’ulteriore grande goccia che potrebbe far traboccare il vaso”, sottolineando che aggravano l’inflazione in un’economia già fragile.
Bill Ackman, manager di hedge fund finora vicino a Trump, ha ribadito il suo invito a una “pausa di 90 giorni” nelle misure tariffarie per negoziare:
“Il business è un gioco di fiducia. E stiamo distruggendo la fiducia nell’America come partner commerciale.”
Le critiche di Musk, Druckenmiller e Marks
Anche Elon Musk ha preso le distanze dalle misure protezionistiche, auspicando un “libero scambio totale” tra USA ed Europa durante un evento politico in Italia.
Ha criticato apertamente Peter Navarro, consigliere pro-dazi di Trump, accusandolo di anteporre ideologia a strategia. Navarro ha replicato accusando Musk di voler solo “proteggere i propri interessi”.
Stanley Druckenmiller, investitore miliardario, ha invece dichiarato:
“Non sostengo dazi sopra il 10%. Sono semplicemente tasse sui consumi.”
Howard Marks, co-fondatore di Oaktree Capital, ha definito le tariffe di Trump “il più grande cambiamento nell’ambiente macroeconomico della mia carriera”, aggiungendo che:
“I dazi sono un costo. E come ogni costo, qualcuno alla fine lo paga. Non dobbiamo sottovalutare i benefici della globalizzazione.”
Rischio concreto: la recessione è già nei prezzi
Con dazi molto più alti del previsto e una retorica presidenziale che esclude compromessi nel breve periodo, gli analisti concordano: i mercati si stanno già preparando a una recessione.
Il dibattito si concentra ora sulla forza dei segnali disinflazionistici rispetto al peso inflattivo dei dazi, e sulle possibilità — al momento limitate — che l’Amministrazione Trump faccia marcia indietro sui dazi, per non scatenare una potenziale crisi finanziaria.