I Democratici americani in crisi: la ricerca di un "centrismo combattivo"
Dopo la sconfitta elettorale del 2024, cresce il malcontento nella base democratica e si delinea un possibile scontro con la leadership di Chuck Schumer
I democratici americani stanno vivendo un momento di profonda crisi dopo la sconfitta alle elezioni presidenziali del 2024. Un'analisi della situazione interna al partito, scritta da Liam Kerr su WelcomeStack, mette in luce come l'elettorato democratico stia esprimendo un livello di insoddisfazione verso i propri rappresentanti mai registrato prima, paragonabile solo a quello che portò alla nascita del movimento Tea Party tra i repubblicani.
Secondo i dati di Quinnipiac University, per la prima volta nella storia del sondaggio, i democratici al Congresso hanno un tasso di approvazione negativo tra i loro stessi elettori. Questo è un cambiamento radicale rispetto al primo mandato di Trump, quando il partito godeva di un forte sostegno dalla propria base.
La peculiarità di questa situazione, tuttavia, non risiede in una frattura ideologica tra elettori e leadership, come accadde con il Tea Party repubblicano o con l'ondata progressista nelle primarie democratiche del 2018. Il conflitto attuale si basa piuttosto sull'atteggiamento: gli elettori democratici chiedono un approccio più deciso e combattivo, pur mantenendo posizioni moderate.
Patrick Ruffini ha coniato il termine "Centrismo Combattivo" per descrivere questa dinamica emergente. I sondaggi Gallup mostrano che il 45% degli elettori democratici vorrebbe che il partito diventasse più moderato, mentre solo il 29% desidera una svolta più progressista. Contemporaneamente, questi stessi elettori chiedono un atteggiamento più aggressivo nel contrastare Trump e i repubblicani.
Come sottolinea Noah Smith in un suo articolo, molti progressisti percepiscono questa richiesta come contraddittoria, interpretando la combattività come una maggiore adesione alle cause progressiste. Tuttavia, le priorità dell'elettorato generale non coincidono necessariamente con quelle degli attivisti progressisti. In altre parole, gli assi "moderato vs progressista" e "combattimento vs compromesso" non sono allineati.
In questo scenario, la posizione del leader della maggioranza al Senato Chuck Schumer è diventata particolarmente vulnerabile. La sua decisione di non mandare in shutdown il governo per "combattere più duramente" ha sollevato dubbi sulla sua capacità di costruire e comunicare una strategia legislativa efficace contro Trump.
Ma il problema più grande di Schumer, secondo l'analisi, riguarda il declino della competitività elettorale democratica durante i suoi otto anni di leadership. Quando assunse la guida nel novembre 2016, i democratici avevano senatori in stati come Montana, North Dakota, Ohio, West Virginia, Missouri, Indiana e Florida. Prima di lui rappresentavano anche Iowa, North Carolina, Arkansas, Alaska, Louisiana e South Dakota.
Oggi i democratici non rappresentano più questi 13 stati e in molti di essi non provano neanche a fare campagne elettorali competitive. Attualmente, i democratici controllano entrambi i seggi senatoriali in 22 stati, più tre seggi individuali in altri stati.
Matthew Yglesias, in un editoriale su Bloomberg, ha evidenziato che, sebbene Schumer sia un abile tattico che ha reclutato candidati migliori dei repubblicani e raccolto più fondi, il partito ha bisogno di una strategia complessiva per riconquistare la maggioranza al Senato. Questo significa rendere nuovamente competitivi stati come Alaska, Iowa, Ohio e Florida, aggiungendo anche il Texas.
Il problema fondamentale è che i repubblicani controllano tutti i 50 seggi al Senato nei 25 stati vinti tre volte da Trump, e Schumer non sembra avere un piano per cambiare questa situazione. La sfida per i "centristi combattivi" è quindi quella di creare un conflitto produttivo e veritiero, chiedendo a Schumer: qual è il piano per competere in altri Stati?
L'aspetto interessante di questa nuova corrente è che, contrariamente alla visione tradizionale secondo cui i moderati tendono ad evitare i conflitti, il "Centrismo Combattivo" propone di strutturare conflitti produttivi con l'ala più progressista per comunicare più chiaramente al resto del paese. Come ha affermato Elizabeth Warren: "Entrare in questi scontri non è come scaricare una batteria. È come un muscolo. Più lo usi, più diventa forte".
I centristi democratici hanno già dimostrato in passato di poter costruire una coalizione efficace, nonostante le difficoltà inerenti nel riunire un gruppo di moderati antagonisti. Come ricorda Kerr in "Rules for Engaging Radicals", quando i democratici si trovarono in gravi difficoltà alla fine degli anni '80, coloro che volevano far crescere il partito dovettero portare avanti dei conflitti produttivi con l'estrema sinistra.
La questione attuale non è tanto se attaccare Schumer per non aver bloccato il governo per "combattere più duramente", quanto piuttosto se questo conflitto è necessario, veritiero e utile. Se il problema si concentra su dettagli legislativi o di comunicazione politica, il conflitto potrebbe rafforzare la sinistra progressista senza avvicinare i democratici alle vittorie elettorali.
La vera sfida per i democratici è definire correttamente il problema con Schumer e con il partito in generale. Mentre i dibattiti sull'immagine del partito e sulle strategie per riconquistare la Camera nel 2026 e la Casa Bianca nel 2028 sono infiniti e spesso portano a discussioni su TikTok, YouTuber, mobilitazione degli elettori e "organizzazione permanente", la vera questione rimane: come riconquistare il Senato?