I Dem americani divisi tra moderati e progressisti
Dopo due sconfitte contro Trump, i democratici sono divisi su quale strada prendere. Nate Silver esamina ogni nomination dal 1968 per capire le dinamiche interne del partito

Il Partito Democratico è dominato dai progressisti o dai centristi? Secondo l'analista elettorale Nate Silver, la risposta è: né l'uno né l'altro. In un saggio pubblicato sul suo Silver Bulletin, l'esperto di statistica e politica americana sostiene che entrambe le narrazioni opposte sul controllo del partito sono troppo semplificate. Mentre Trump ha catturato quasi completamente il Partito Repubblicano, i democratici rimangono un classico partito "a grande tenda", pieno di disaccordi. E dopo la sconfitta del 2024, è naturale che le varie fazioni si accusino reciprocamente.
L'analista utilizza i punteggi DW-Nominate, una misura statistica del posizionamento ideologico dei legislatori basata sui loro voti al Congresso. Il sistema usa due numeri: il primo indica quanto un politico è liberale rispetto agli altri democratici (più alto significa più a sinistra), il secondo quanto è liberale rispetto all'intero Congresso. Ad esempio, Amy Klobuchar con 32/68 risulta più conservatrice del 68% dei democratici, ma più liberale del 68% dell'intero Senato.
L'analisi di Silver parte dal 1968, quando esisteva di fatto un sistema a tre partiti: repubblicani, democratici del Nord e democratici del Sud. Quell'anno, Hubert Humphrey vinse la nomination in una convention turbolenta a Chicago, segnata dalle proteste contro la guerra del Vietnam. Humphrey, relativamente liberale con un punteggio di 70/80, non riuscì però a distanziarsi dall'impopolare Lyndon Johnson sul Vietnam - una situazione che Silver paragona all'incapacità di Harris di differenziarsi da Biden.
Le riforme McGovern-Fraser spostarono il processo di nomination dalle "stanze piene di fumo" ai voti delle primarie. George McGovern, un senatore di sinistra (96/98) e pacifista, divenne il candidato più inequivocabilmente progressista della storia moderna del partito. Il risultato fu una sconfitta schiacciante contro Nixon.
Jimmy Carter nel 1976 emerse come candidato relativamente sconosciuto, comprendendo che i delegati, non i voti popolari, determinavano il vincitore. La sua presidenza fu sfidata nel 1980 da Ted Kennedy (93/96) da sinistra, ma Carter prevalse prima di perdere contro Reagan. Nel 1984, i democratici scelsero Walter Mondale (83/90), un candidato di compromesso della sinistra laburista che ricevette il supporto schiacciante dei superdelegati rispetto a Jesse Jackson e Gary Hart. Mondale subì una sconfitta ancora peggiore di McGovern.
Dopo cinque sconfitte in sei elezioni, i democratici nel 1992 puntarono su Bill Clinton, uno dei candidati più inequivocabilmente centristi dell'era moderna. Clinton vinse e, dopo le perdite del 1994, si spostò ulteriormente a destra, firmando la riforma del welfare e il Defense of Marriage Act nel 1996. Al Gore nel 2000 vinse ogni stato nelle primarie contro Bill Bradley, ma perse per soli 537 voti in Florida contro George W. Bush. John Kerry nel 2004 fu percepito come un liberale elitario nonostante i democratici lo vedessero come un'alternativa più eleggibile a Howard Dean.
Nel 2008, Barack Obama (82/65) sconfisse Hillary Clinton (85/76) in primarie molto combattute. Silver nota che le divisioni non erano nettamente ideologiche: Obama si presentava come un democratico "post-partisan" mentre Clinton aveva votato per la guerra in Iraq. Le divisioni erano più demografiche, con Obama che vinse tra elettori neri, giovani laureati e indipendenti. Obama passò la riforma sanitaria ma subì enormi perdite nel 2010, con i democratici che persero 63 seggi alla Camera. Silver identifica questo come il momento in cui i Blue Dog, democratici moderati e conservatori, furono letteralmente più che dimezzati.
Contrariamente alla narrativa comune, Silver sostiene che Bernie Sanders nel 2016 non era particolarmente "woke". Era Hillary Clinton a usare concetti come "intersezionalità" e "razzismo sistemico", mentre Sanders si opponeva alle riparazioni e aveva posizioni conservatrici su immigrazione e controllo delle armi. Sanders ottenne risultati migliori nelle aree rurali e più bianche.
Nel 2020, Sanders si spostò più a sinistra culturalmente, perdendo gran parte del suo supporto rurale. La maggior parte dei candidati, incluso Biden, alzò la mano quando gli fu chiesto se avrebbero fornito copertura sanitaria agli immigrati senza documenti. Harris compilò un record estremamente liberale al Senato (97/99). Biden beneficiò del sostegno dell'establishment del partito, con l'endorsement di Jim Clyburn prima del South Carolina e poi di Klobuchar e Buttigieg prima del Super Tuesday. Ma una volta presidente, Biden governò più a sinistra di quanto il suo record al Senato suggerisse, con un grande pacchetto di stimolo che contribuì all'inflazione e ordini esecutivi su giustizia ambientale e diritti trans.
La nomination del 2024 fu "contestata" nel vecchio modo: dalle élite del partito, non dagli elettori. Harris, scelta come vicepresidente nel 2020 con un focus esplicito sull'equità razziale, ottenne la nomination in 24 ore dopo il ritiro di Biden. Silver non accetta l'idea che la campagna di Harris sia stata disciplinatamente centrista. I report successivi suggeriscono un'operazione improvvisata che provò diversi brand, dal "Brat Summer" in poi. Harris ripudiò molte posizioni precedenti senza davvero rinnegarle e fu limitata dalla sua riluttanza a distanziarsi da Biden.
Nate Silver identifica tre conclusioni principali. Primo, gli elettori sembrano più resistenti al "wokeness" e ad altri indicatori culturali di progressismo che al populismo economico stile Sanders. Secondo, l'establishment democratico è altamente impopolare e per buone ragioni, non riuscendo nemmeno ad ammettere che l'età di Biden era un problema. Terzo, alcuni compromessi non soddisfano nessuno: Harris non ha mai sviluppato un'identità politica distinta, lasciando che altri la definissero. Silver suggerisce che una scelta più audace nel 2028, che venga da sinistra o dal centro, potrebbe essere migliore di quello che i democratici hanno offerto agli elettori ultimamente. Il partito deve affrontare le sue divisioni interne invece di cercare compromessi che alla fine si rivelano perdenti.