Guerra commerciale: l'instabilità delle politiche di Trump frena le trattative globali
Una decisione della giustizia americana sospende parte dei dazi voluti da Trump. L’Unione Europea, la Cina e altri attori restano cauti. Le trattative si fanno più confuse.
La sospensione giudiziaria di una parte dei dazi imposti dal presidente Donald Trump ha segnato una battuta d’arresto significativa nella sua strategia commerciale. Tuttavia, né i mercati né le capitali mondiali hanno reagito con entusiasmo. I paesi colpiti dai dazi mostrano prudenza, consapevoli che la battaglia è ben lontana dall’essere conclusa.
Mercoledì 28 maggio, un tribunale federale ha invalidato parte dei dazi decisi da Trump, ritenendo che non rientrassero nei poteri dell’esecutivo ma spettassero al Congresso. Si tratta di un colpo politico e giuridico per il presidente, che aveva proclamato il 2 aprile il “giorno della liberazione” con l’annuncio di nuovi dazi “reciproci”. Eppure, come sottolinea un funzionario europeo, “è troppo presto per gioire. Tutto può ancora succedere”. Giovedì 29 maggio una corte d'appello ha poi temporaneamente sospeso l'annullamento dei dazi in attesa di una decisione definitiva.
Gli analisti economici, da Alec Phillips di Goldman Sachs a Mark Haefele di UBS Global Wealth Management, ritengono improbabile che la Casa Bianca rinunci del tutto alla leva dei dazi. L’attesa è che l’amministrazione trovi nuove strade per reintrodurli. I mercati hanno reagito con indifferenza: il CAC 40 è rimasto stabile e l’S&P 500 ha aperto in lieve rialzo.
Nelle capitali mondiali domina la cautela. Il governo britannico definisce la sospensione una “prima tappa giudiziaria” in una questione interna americana. La Cina si limita a esortare Washington ad ascoltare “le voci razionali” internazionali e a revocare i dazi “unilaterali e ingiustificati”.
A Bruxelles, l’incertezza cresce. La Commissione europea prosegue i contatti con gli Stati Uniti, ma il quadro negoziale è tutt’altro che chiaro. Il 23 maggio Trump aveva minacciato dazi del 50% contro l’Unione Europea entro il 1º giugno, salvo poi rinviare la scadenza al 9 luglio. Tre giorni dopo, la legittimità stessa delle misure è stata messa in discussione dal verdetto giudiziario.
La difficoltà principale è definire la base di partenza per il negoziato. Washington ha elencato le proprie lamentele contro l’UE, ma non ha indicato su quali punti sarebbe disposta a cedere. L’offerta europea — abolizione reciproca dei dazi su prodotti industriali e su alcuni agricoli, riconoscimento delle normative, cooperazione su investimenti e tecnologie strategiche — non ha trovato accoglienza.
Finora, l’UE non ha adottato misure di ritorsione. Due liste di prodotti americani soggetti a possibili aumenti tariffari sono pronte, e non si esclude di agire anche sui servizi, sui colossi del digitale o sui controlli all’export. Ma il consenso dei Ventisette non è scontato. “Bisogna prepararsi all’eventualità che Trump mantenga dazi al 10%”, afferma un diplomatico europeo, ricordando che la questione del risarcimento dei dazi già versati è ancora aperta.
Negli Stati Uniti, la vicenda apre una lunga fase di contenzioso legale. L’amministrazione Trump ha annunciato l’appello e diversi analisti, come Paul Ashworth di Capital Economics, prevedono che la disputa possa arrivare fino alla Corte Suprema, dominata da una maggioranza repubblicana. Un verdetto definitivo potrebbe richiedere mesi.
La sospensione riguarda solo le misure basate sull’International Emergency Economic Powers Act del 1977, la cui applicabilità ai deficit commerciali invocati da Trump è stata respinta dai giudici. La legge, infatti, non autorizza l’uso dei dazi come strumento di ritorsione, né considera un deficit commerciale un’emergenza economica. Rientrano in questo ambito i dazi del 25% contro Messico e Canada e quelli del 20% contro la Cina.
Rimangono invece in vigore i dazi imposti sotto la sezione 232 della legge sul commercio del 1962, che autorizza misure protettive in caso di minaccia alla sicurezza nazionale, previa inchiesta ufficiale. È su questa base che sono stati imposti dazi del 25% su acciaio, alluminio e settore automobilistico. E sono in corso nuove indagini su settori sensibili come farmaceutica, aerospazio e semiconduttori.
Le conseguenze economiche non si sono fatte attendere. Secondo un’analisi di Allianz Trade pubblicata il 20 maggio, prima del “giorno della liberazione” solo l’11% delle imprese prevedeva di ridurre gli investimenti. Dopo l’annuncio dei nuovi dazi, la percentuale è salita al 77%, con un picco dell’85% tra le imprese francesi. “L’attentismo domina”, sottolinea Ana Boata, capo economista di Allianz Trade. E la sensazione è che durerà ancora a lungo.