Gli Stati Uniti potrebbero rimandare (ancora) i dazi

La Casa Bianca riflette su un rinvio della scadenza dell’8 luglio per l’imposizione di nuovi dazi, ma il presidente Trump continua a minacciare misure unilaterali. Le tensioni con la Cina si allentano, mentre il Canada è ora escluso dalle trattative commerciali.

Gli Stati Uniti potrebbero rimandare (ancora) i dazi
White House

Con l’avvicinarsi dell’8 luglio, data fissata per l’imposizione di dazi reciproci su scala globale, l’amministrazione statunitense mostra segnali contrastanti. Da un lato, il segretario al Tesoro Scott Bessent ha confermato la possibilità di un rinvio della scadenza per raggiungere nuovi accordi bilaterali. Dall’altro, il presidente Donald Trump continua a minacciare tariffe unilaterali contro i partner commerciali degli Stati Uniti, mantenendo un tono aggressivo e imprevedibile.

Venerdì 27 giugno, intervenendo dalla sala stampa della Casa Bianca, Trump ha minimizzato l’urgenza del termine dell’8 luglio. «A un certo punto, nei prossimi dieci giorni, o forse prima, invieremo una lettera. Abbiamo parlato con molti Paesi, e diremo loro semplicemente quanto dovranno pagare per fare affari con gli Stati Uniti», ha dichiarato. È una posizione che riecheggia quella assunta il 2 aprile, quando furono introdotti dazi su scala globale nel cosiddetto “giorno della liberazione”. Di fronte al panico dei mercati, queste misure vennero rapidamente ridotte al 10%, con eccezioni per l’automobile e l’acciaio (25%) e per la Cina (145%).

L’iniziativa americana ha però prodotto, nelle settimane successive, alcuni tentativi di normalizzazione. Un primo accordo parziale è stato raggiunto con il Regno Unito. Sul fronte cinese, le due potenze sembrano aver trovato un fragile punto d’incontro: la Cina ha accettato di ripristinare le licenze di esportazione per alcuni minerali rari, cruciali per l’industria tecnologica e l’auto elettrica statunitense. Tali licenze avranno però una validità limitata a sei mesi, configurandosi come strumento di pressione nelle prossime trattative.

Le tariffe tra Stati Uniti e Cina, inizialmente esplose al 145% per le importazioni cinesi e al 125% per quelle statunitensi, sono state ridotte rispettivamente al 30% e al 10%. In cambio, Washington ha rimosso alcune restrizioni sull’export di tecnologie avanzate verso Pechino. Tuttavia, nessuna delle questioni strutturali del rapporto commerciale è stata realmente risolta, e i negoziati promettono di protrarsi a lungo.

In netto contrasto con questi segnali di distensione, il presidente Trump ha annunciato una brusca interruzione delle trattative con il Canada. La decisione, spiegata durante lo stesso intervento del 27 giugno, è motivata dall’introduzione da parte di Ottawa di una tassa sui colossi digitali americani, con effetto retroattivo su diversi anni. Il valore complessivo della tassa ammonterebbe tra i 2 e i 3 miliardi di dollari. «Abbiamo un tale potere sul Canada… Preferirei non usarlo, ma loro hanno fatto qualcosa oggi con le aziende tech, cercando di imitare l’Europa», ha affermato Trump.

L’Unione europea è stata anch’essa bersaglio delle critiche del presidente, accusata di trattare ingiustamente gli Stati Uniti sul piano commerciale. Il tono generale della Casa Bianca resta quello di una conflittualità negoziale, alternando aperture tattiche e minacce unilaterali.

Nel frattempo, sul piano interno, l’amministrazione mostra segnali di confusione. Proprio venerdì mattina, intervistato su Fox Business, Scott Bessent aveva dichiarato che la scadenza dell’8 luglio non sarebbe stata rispettata. Secondo il segretario al Tesoro, si stanno negoziando una decina di accordi bilaterali con i diciotto principali partner commerciali, ma sarà necessario più tempo. La nuova data indicata da Bessent è il Labor Day, il 1° settembre.

Nonostante la volatilità delle comunicazioni presidenziali, Trump continua a promuovere una narrazione di successo economico. A suo dire, gli Stati Uniti stanno incassando “centinaia di miliardi di dollari” dai dazi e hanno attirato “15 mila miliardi di dollari” in nuovi investimenti da parte di imprese statunitensi, estere e governi stranieri. Riguardo alle preoccupazioni per una possibile recessione, il presidente ha liquidato i timori con sarcasmo: «Penso che dovrebbero tornare alla scuola di commercio.»

L’ottimismo presidenziale si riflette, almeno in parte, nei mercati. Dall’annuncio del congelamento dei dazi reciproci, l’indice S&P 500 è salito di oltre il 23% dall’inizio di aprile. Ma restano molte incertezze. La guerra con l’Iran e l’irrigidimento monetario da parte della Federal Reserve contribuiscono a rendere instabile il contesto macroeconomico. In particolare, Trump ha rivolto dure critiche al presidente della Fed Jerome Powell, accusato di non voler abbassare i tassi di interesse: «Una persona stupida», ha commentato il presidente.

Focus America non rappresenta una testata giornalistica in quanto viene aggiornato senza alcuna periodicità. Non può pertanto considerarsi un prodotto editoriale ai sensi della legge n° 62 del 7.03.2001.