E se l'intelligenza artificiale fosse una bolla?
OpenAI e Anthropic bruciano miliardi senza profitti, startup come Cursor vacillano e la costruzione massiccia di data center sostiene artificialmente la crescita economica Usa

L’attuale corsa all’intelligenza artificiale generativa sta assumendo le sembianze di una bolla finanziaria senza precedenti, alimentata da capitali di rischio e da una spesa gigantesca in infrastrutture che non trova riscontro in ricavi reali. Lo sostiene Edward Zitron, autore della newsletter Where’s Your Ed At.
OpenAI, protagonista principale del settore, ha raccolto 10 miliardi di dollari da SoftBank a giugno 2025 e, meno di due mesi dopo, altri 8,3 miliardi. Una raccolta di fondi definita “incredibile” dall’autore, che si interroga su come vengano utilizzate risorse di tale entità. L’ipotesi più accreditata è la costruzione di data center, un investimento colossale che però non risolve il problema centrale: la mancanza di profitti.
L’azienda guidata da Sam Altman ha diffuso stime contrastanti sui propri ricavi annualizzati: 12 miliardi di dollari il 30 luglio 2025, 13 miliardi appena due giorni dopo. Si tratta di numeri calcolati non su base mensile reale ma su finestre mobili di 30 giorni, un metodo che secondo Zitron viene usato in modo deliberato per favorire il fundraising.
Anche Anthropic si muove su dinamiche simili. La società, valutata 170 miliardi di dollari, ha dichiarato di essere passata da 72 milioni di ricavi a gennaio 2025 a oltre 400 milioni a luglio. Una crescita che appare in gran parte dovuta all’aumento dei prezzi imposti ai propri clienti, fra cui Cursor, l’editor di codice basato su AI che è il principale utilizzatore dei modelli di Anthropic.
Cursor, che aveva raggiunto 500 milioni di ricavi annualizzati, è oggi in grave difficoltà. L’introduzione di costi più elevati da parte di Anthropic e la riduzione dei servizi offerti agli utenti hanno reso il suo modello economico insostenibile. Zitron ritiene che Cursor rappresenti un rischio sistemico: se l’azienda crollasse, una parte rilevante dei ricavi di Anthropic verrebbe meno, mettendo in discussione la possibilità stessa di costruire un business redditizio sopra i modelli generativi.
Il quadro si complica ulteriormente se si considera la scarsità di acquisizioni nel settore. Le operazioni realmente significative sono poche: AMD ha rilevato Silo AI per 665 milioni di dollari nel 2024, Nvidia ha comprato OctoAI e Brev.dev, Canva ha acquisito Leonardo.AI, mentre la piattaforma NICE ha comprato Cognigy per 955 milioni. Molti altri casi – come Windsurf o Inflection – si sono risolti in complessi accordi di licenza o operazioni che hanno arricchito i fondatori senza generare reali uscite di mercato.
Per Zitron, questa assenza di acquisizioni e di quotazioni in borsa dimostra che i colossi dell’AI non sono in grado di offrire agli investitori una prospettiva di ritorno. Startup come Perplexity, valutata 18 miliardi con appena 150 milioni di ricavi annualizzati, faticano a convincere potenziali acquirenti, nonostante abbiano avuto contatti con Apple e Meta.
Il cuore del problema è nei costi. Le aziende che sviluppano modelli devono sostenere spese enormi in infrastrutture, GPU e cloud. Per OpenAI e Anthropic le perdite si misurano in miliardi di dollari all’anno. I ricavi non compensano e non esistono prove che i prodotti stiano diventando essenziali per le imprese. Le analogie con la bolla immobiliare del 2008 sono esplicite: valutazioni gonfiate, mancanza di liquidità e impossibilità di vendere gli asset.
Anche i data center sono al centro del dibattito. Secondo il Wall Street Journal, la spesa per infrastrutture AI ha già superato, in rapporto al PIL, quella sostenuta per telecomunicazioni e internet durante la bolla dot-com. L’analista Paul Kedrosky stima che metà della crescita economica Usa del 2025 sia stata trainata da questi investimenti. Ma il rovescio della medaglia è un crollo dei flussi di cassa liberi per i giganti tecnologici, sempre più gravati da asset fisici e costi di gestione.
A finanziare lo sviluppo dei nuovi centri sono spesso società di private equity come Blackstone e KKR, che puntano a valorizzarli per rivenderli. Ma, come per le startup AI, non è chiaro chi potrebbe comprarli in futuro. Senza un mercato secondario, anche questi investimenti rischiano di trasformarsi in asset improduttivi.
Zitron sottolinea che il peso dell’AI sull’economia americana si riduce di fatto a quattro aziende: Microsoft, Google, Meta e Amazon. Sono loro a sostenere la domanda di GPU Nvidia e a spingere miliardi di dollari in nuovi data center. Un rallentamento degli investimenti avrebbe conseguenze dirette sia sull’economia reale che sui mercati finanziari, considerando che Nvidia da sola rappresenta quasi un quinto del valore dei “Magnificent Seven”, il gruppo di big tech che traina Wall Street.
Il rischio sistemico, conclude l’autore, è che l’intero boom dell’AI generativa si riveli insostenibile: prodotti non redditizi, mancanza di uscite sul mercato, capex esorbitanti che gonfiano temporaneamente il PIL senza creare valore duraturo. La domanda che rimane inevasa è la più semplice: quanto a lungo potrà andare avanti una corsa che brucia miliardi senza costruire aziende profittevoli?
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