Crescita al 3% per l’economia statunitense nel secondo trimestre

Il PIL statunitense è cresciuto del 3% tra aprile e giugno, segnando un netto rimbalzo rispetto al primo trimestre dell’anno. Tuttavia, l’andamento del commercio estero e l’incertezza legata ai dazi rendono il quadro economico più fragile di quanto suggerisca il dato aggregato.

Crescita al 3% per l’economia statunitense nel secondo trimestre
Photo by David Montero / Unsplash

L’economia degli Stati Uniti è tornata a crescere nel secondo trimestre del 2025, con un aumento del prodotto interno lordo (PIL) su base annua pari al 3%. Si tratta di un’inversione di tendenza rispetto ai primi tre mesi dell’anno, quando il PIL si era contratto dello 0,5%. Ma dietro al dato positivo si nasconde una realtà più complessa, in parte distorta dalle dinamiche del commercio internazionale e dagli effetti dei dazi voluti dall’amministrazione Trump.

Il rimbalzo primaverile è stato infatti fortemente influenzato dal calo delle importazioni, che erano aumentate in modo anomalo all’inizio dell’anno quando imprese e consumatori avevano anticipato gli acquisti di beni esteri per evitare i nuovi dazi. Quell’ondata di importazioni aveva sottratto 4,61 punti percentuali alla crescita del primo trimestre. In primavera, il fenomeno si è invertito: le importazioni sono diminuite con l’entrata in vigore di tariffe a doppia cifra, restituendo quasi 5 punti percentuali alla crescita del PIL. Si tratta dell’impatto maggiore del commercio estero sul PIL mai registrato dagli anni Quaranta.

Questo effetto contabile ha migliorato il dato aggregato, ma non riflette appieno la salute dell’economia reale. Le esportazioni, infatti, sono calate nello stesso periodo, e anche gli investimenti aziendali in attrezzature e immobili hanno mostrato segni di debolezza. La spesa per consumi, che rappresenta oltre i due terzi del PIL, è cresciuta solo dell’1,4% su base annua, un aumento modesto anche se in miglioramento rispetto alla quasi stagnazione del primo trimestre.

Gli investimenti residenziali e quelli delle imprese sono rimasti deboli, mentre una ripresa della spesa pubblica locale e statale ha contribuito parzialmente alla crescita. Il contributo delle scorte, che aveva spinto il PIL all’inizio dell’anno, è risultato più contenuto nel secondo trimestre.

Un indicatore spesso utilizzato dagli economisti per valutare la crescita sottostante, al netto delle componenti più volatili come commercio, scorte e spesa pubblica, è quello delle final sales to private domestic purchasers. Questo dato ha registrato un aumento dell’1,2% nel secondo trimestre, in calo rispetto all’1,9% del trimestre precedente, e rappresenta la performance più debole dal 2022.

L’andamento medio della crescita per la prima metà del 2025 si attesta quindi attorno all’1,2%-1,25% su base annua, in netto rallentamento rispetto al ritmo del 2,5%-2,8% registrato nel 2024. Secondo le stime di Pantheon Macroeconomics, la crescita potrebbe rallentare ulteriormente a circa l’1% nella seconda metà dell’anno, a causa dell’impatto crescente dei dazi sui prezzi e dell’incertezza sulle politiche economiche della Casa Bianca.

Diversi analisti hanno sottolineato come l’aggressiva strategia tariffaria dell’amministrazione Trump stia contribuendo a creare un clima di cautela nel mondo imprenditoriale. “Le imprese sono molto caute: non conoscono la strada e quindi guidano nella corsia lenta”, ha dichiarato Beth Ann Bovino, capo economista di U.S. Bank. Una valutazione simile è stata espressa da Stephen Stanley, capo economista di Santander U.S. Capital Markets, che ha osservato come l’imprevedibilità della politica commerciale stia generando effetti a catena sull’intera economia.

Il Wall Street Journal ha riportato che aziende come Procter & Gamble iniziano a registrare segnali di stress tra i consumatori, che riducono le visite nei negozi e ritardano gli acquisti. Anche la casa di moda Steven Madden ha annunciato una perdita trimestrale attribuendo il risultato negativo all’aumento dei costi dovuti ai dazi. Il marchio di abbigliamento per bambini Carter’s ha definito i continui cambiamenti nello scenario tariffario “una sfida tremenda” per la pianificazione aziendale.

Il presidente Trump ha accolto con favore il dato del 3% e ha chiesto pubblicamente alla Federal Reserve di abbassare i tassi d’interesse, dichiarando su Truth Social: “Nessuna inflazione! Lasciate che la gente compri e rifinanzi le case!”. Tuttavia, la Federal Reserve ha deciso di mantenere il tasso d’interesse di riferimento nella fascia 4,25%-4,50%, citando un’inflazione ancora superiore al target del 2% e un mercato del lavoro che resta solido. Secondo il Federal Open Market Committee, “gli indicatori recenti suggeriscono che l’attività economica ha moderato il suo ritmo nella prima metà dell’anno”.

Il Congressional Budget Office ha inoltre valutato che la legge fiscale firmata da Trump il 4 luglio, la cosiddetta One Big Beautiful Bill, aggiungerà 3.400 miliardi di dollari al debito pubblico nei prossimi dieci anni, contribuendo a incrementare il PIL reale solo dello 0,5% in media annua.

Anche il mercato del lavoro mostra segnali di raffreddamento. Le stime per il mese di luglio prevedono 100.000 nuovi posti di lavoro, in calo rispetto ai 147.000 di giugno. Secondo Ryan Sweet di Oxford Economics, se i licenziamenti resteranno contenuti, l’economia potrebbe continuare a “galleggiare” nella seconda metà dell’anno, ma senza una spinta sufficiente a rilanciare la crescita.

Nonostante il dato positivo sul PIL, il quadro complessivo mostra un’economia in rallentamento, penalizzata da incertezze politiche, tariffe punitive e un indebolimento della domanda interna. I prossimi mesi saranno determinanti per verificare se l’apparente slancio del secondo trimestre rappresenta una ripresa duratura o solo un’illusione contabile.

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