Cosa succederà ora tra Stati Uniti e Iran?
L’attacco statunitense ai siti nucleari iraniani segna una svolta nel conflitto israelo-iraniano, ma apre una fase di incertezza globale sulle possibili reazioni di Teheran, l’equilibrio regionale e la stabilità democratica americana

Con l’attacco contro i principali impianti nucleari dell’Iran, il presidente Donald Trump ha varcato una soglia storica. I bombardieri strategici B-2 hanno colpito i siti di Fordo, Natanz e Isfahan, obiettivi da tempo individuati dall’intelligence come fulcro del programma atomico iraniano. L’operazione, decisa unilateralmente dagli Stati Uniti senza coinvolgere il Congresso né gli alleati occidentali, ha segnato l’ingresso diretto di Washington in una guerra che Israele aveva avviato da giorni con attacchi contro infrastrutture militari e nucleari iraniane.
Il presidente ha definito l’azione una “missione riuscita” volta a “obliterare” le capacità nucleari iraniane. Ma dietro il linguaggio trionfalistico resta un nodo irrisolto: nessuno può sapere con certezza quali saranno le conseguenze. Esperti, analisti e funzionari di sicurezza convergono su un punto: si è aperta una fase ad altissimo rischio, dove ogni mossa può innescare una catena di eventi incontrollabili.
Secondo David Sanger del New York Times, la decisione di colpire Fordo — struttura sotterranea e altamente protetta che Israele non poteva distruggere da solo — rappresenta il tentativo più ambizioso da parte di Washington di smantellare il programma nucleare iraniano, qualcosa che le precedenti amministrazioni avevano evitato temendo una guerra totale. Trump ha scommesso sull’efficacia militare dell’operazione e sulla deterrenza psicologica: ha promesso ulteriori attacchi se Teheran dovesse reagire, avvertendo che “ci sono ancora molti obiettivi da colpire”.
Ma l’Iran potrebbe non restare immobile. L’ayatollah Ali Khamenei, guida suprema del Paese, è stato umiliato pubblicamente su un terreno simbolico centrale: il diritto iraniano a sviluppare tecnologie nucleari. Il regime potrebbe decidere di reagire per difendere la propria legittimità interna. Anche in condizioni di debolezza — dopo l’indebolimento di Hezbollah e Hamas e la fuga del presidente siriano Bashar al Assad — Teheran dispone ancora di leve di pressione: può attivare milizie sciite in Iraq e Siria, colpire basi americane nella regione, lanciare attacchi cyber o chiudere il traffico nel Golfo Persico, minacciando l’economia globale.
La risposta non sarà solo militare. Sul piano internazionale, l’attacco statunitense rischia di avere effetti di lungo periodo. Trump ha infatti violato le procedure costituzionali avviando una guerra senza l’approvazione del Congresso, un gesto che ha suscitato dure reazioni tra i Democratici. Il senatore Mark Warner ha denunciato la mancanza di consultazione e l’assenza di prove pubbliche sulla presunta imminenza della minaccia. Inoltre, l’azione militare mina il principio cardine del diritto internazionale secondo cui l’uso della forza va giustificato da una minaccia concreta e imminente.
L’attacco rischia anche di rafforzare l’idea che gli Stati Uniti possano agire unilateralmente per colpire un Paese sovrano senza autorizzazione internazionale. Alcuni osservatori avvertono che il precedente potrebbe essere invocato in futuro da potenze autoritarie per giustificare azioni simili, destabilizzando l’ordine globale.
Secondo l’analisi della CNN, se l’operazione dovesse fallire nell’intento di distruggere del tutto il programma nucleare iraniano, è possibile che Teheran acceleri il proprio percorso verso la bomba, seguendo il modello nordcoreano. In quel caso, l’effetto sarebbe l’opposto di quello sperato: invece di prevenire la proliferazione, l’attacco potrebbe incentivarla, alimentando l’idea che solo un’arma nucleare possa garantire la sopravvivenza del regime.
Le incognite riguardano anche gli equilibri interni dell’Iran. Il colpo inferto potrebbe scatenare proteste popolari e indebolire l’apparato teocratico, come auspicato da Israele. Ma è altrettanto possibile che il regime stringa le maglie della repressione e che il nazionalismo iraniano, anziché indebolirsi, si rafforzi. Uno scenario estremo vedrebbe l’Iran sprofondare nel caos, con il rischio di una guerra civile che destabilizzerebbe l’intera regione.
Il coinvolgimento statunitense solleva interrogativi anche sul piano strategico. Il presidente ha promesso che non si tratta dell’inizio di una guerra prolungata, ma di un’operazione “limitata”. Tuttavia, come ricordano le esperienze in Iraq, Afghanistan e Libia, le guerre iniziano spesso con colpi rapidi e mirati, ma si trasformano in conflitti lunghi e complessi. Foreign Policy avverte che anche se gli Stati Uniti riuscissero a neutralizzare il programma atomico, non potrebbero eliminare le conoscenze scientifiche e l’infrastruttura tecnologica che Teheran potrebbe ricostruire in futuro.
Dal punto di vista regionale, l’azione rafforza la posizione di Israele, che da anni preme per un intervento diretto contro l’Iran. Benjamin Netanyahu ha ottenuto ciò che il suo Paese da solo non poteva fare: l’uso delle bombe penetranti americane contro strutture come Fordo, inaccessibili alle capacità israeliane. Ma questo rafforza anche la percezione che Washington stia subordinando i propri interessi a quelli israeliani, indebolendo la propria autorevolezza tra i partner arabi e in ambito multilaterale.
Anche sul piano interno americano l’operazione rappresenta una svolta. Trump ha contraddetto una delle poche promesse coerenti del suo primo mandato: non avviare nuove guerre. I suoi sostenitori, incluso il vice presidente JD Vance, si sforzano ora di giustificare l’intervento come azione difensiva. Ma per molti è chiaro che il presidente ha agito in modo impulsivo, senza consultazioni né strategia a lungo termine, con un gabinetto di sicurezza composto da figure considerate inesperte o emarginate — tra cui il segretario alla difesa Pete Hegseth e la direttrice dell’intelligence Tulsi Gabbard.
Il rischio maggiore resta quello di una reazione imprevedibile da parte dell’Iran. Gli scenari possibili variano da un’implosione del regime alla prosecuzione clandestina del programma nucleare, da un conflitto regionale ad alto impatto energetico alla diffusione di azioni ostili su scala globale. Come affermato da Brett McGurk alla CNN, “se qualcuno dice di sapere come andrà a finire, non sa di cosa parla”.