Come Trump ha deciso di attaccare l'Iran

Il presidente ha approvato l’operazione mentre sorvolava il New Jersey. I bombardamenti su tre siti nucleari iraniani segnano una svolta nella politica estera americana, tra pressioni interne, dubbi costituzionali e reazioni internazionali.

Come Trump ha deciso di attaccare l'Iran
White House

Sabato 21 giugno, mentre sorvolava le proprietà adiacenti al suo golf club in New Jersey a bordo di Marine One, il presidente Donald Trump ha preso una delle decisioni più delicate del suo mandato: ordinare attacchi aerei contro tre siti nucleari iraniani. Come riporta il Wall Street Journal, la telefonata decisiva è arrivata dal segretario alla Difesa Pete Hegseth, che chiedeva l’autorizzazione finale. Trump ha dato il via libera, convinto che la diplomazia da sola non avrebbe impedito a Teheran di dotarsi dell’arma atomica.

Le ore successive hanno visto il decollo dei bombardieri B-2 verso obiettivi strategici in Iran, coronando una settimana di preparativi riservati. L’operazione, condotta nel massimo riserbo, aveva l’obiettivo dichiarato di ostacolare il programma nucleare iraniano, ma rischia di trascinare gli Stati Uniti in un nuovo conflitto in Medio Oriente, accentuando le divisioni all’interno della maggioranza che sostiene il presidente.

Trump ha definito i bombardamenti “un grande successo per il nostro Paese”. Il presidente ha affermato: “Il nostro Paese è bollente come una pistola. Sei mesi fa era freddo come il ghiaccio, era morto”. Il riferimento, secondo collaboratori citati dal quotidiano, è al desiderio del presidente di riaffermare la supremazia americana sulla scena internazionale.

La decisione è maturata dopo settimane di frustrazione per lo stallo nei negoziati con l’Iran. Trump e il suo inviato speciale per il Medio Oriente, Steve Witkoff, avevano inizialmente creduto in un possibile accordo, ma col tempo hanno ritenuto che Teheran stesse guadagnando tempo. A fine maggio, il presidente si era convinto che gli iraniani “li stessero prendendo in giro”, secondo un consigliere presente alla riunione.

All’interno della coalizione MAGA, la pressione era crescente. I falchi come il senatore Lindsey Graham spingevano per l’intervento armato, mentre altri esponenti conservatori, tra cui il deputato Thomas Massie e la deputata Marjorie Taylor Greene, mettevano in guardia dai rischi di un nuovo coinvolgimento militare. Witkoff stesso, inizialmente favorevole alla via diplomatica, ha cambiato posizione dopo aver constatato l’intransigenza iraniana.

Le rassicurazioni israeliane sull’assenza di rischi significativi hanno rafforzato la posizione degli interventisti. Funzionari dell’amministrazione hanno riferito che Israele aveva ottenuto la superiorità aerea su larga parte del territorio iraniano, rendendo l’operazione più fattibile dal punto di vista tattico.

Graham ha dichiarato di aver detto al presidente che i bombardamenti avrebbero consentito agli Stati Uniti di recuperare credibilità dopo il ritiro disordinato dall’Afghanistan. “Sarai il nuovo sceriffo in città, questo ristabilirà le nostre relazioni con il resto del mondo,” ha affermato.

Il giorno dell’attacco, i collaboratori del presidente si sono riuniti segretamente nella Situation Room per esaminare i piani e visionare mappe dettagliate. Un secondo gruppo di bombardieri è decollato in una manovra diversiva per confondere le difese iraniane. Secondo l’amministrazione, il tempismo ha colto Teheran di sorpresa.

Domenica, Trump ha seguito con attenzione la copertura mediatica dell’attacco, ricevendo dai suoi assistenti una selezione di commenti favorevoli apparsi sui social. Ha anche discusso con i consiglieri la possibilità di sostenere un avversario nelle primarie contro Massie, che ha definito l’attacco “incostituzionale”.

Le critiche democratiche non si sono fatte attendere. Il senatore Adam Schiff ha dichiarato alla CNN che “non c’erano prove che l’Iran avesse deciso di costruire una bomba né che stesse già assemblando un ordigno,” aggiungendo che “in assenza di questo, non si autorizza un attacco simile”. I democratici hanno accusato Trump di non aver richiesto un’autorizzazione formale al Congresso, evocando i precedenti dell’intervento in Iraq.

La portavoce della Casa Bianca Karoline Leavitt aveva annunciato giovedì che la decisione finale sarebbe arrivata entro due settimane. Ma secondo fonti interne, si trattava in parte di un depistaggio per mascherare l’imminenza dell’operazione.

La reazione tra i sostenitori di Trump è stata finora contenuta. Tuttavia, alcuni esponenti del Partito Repubblicano temono che un’escalation militare possa alimentare l’insoddisfazione della base elettorale. Massie ha avvertito che un sentimento di tradimento potrebbe trasformarsi in apatia elettorale, danneggiando lo stesso presidente alle prossime elezioni. Greene ha scritto su X che “ogni volta che l’America è sull’orlo della grandezza, ci infiliamo in un’altra guerra straniera,” aggiungendo: “questa non è la nostra battaglia”.

Trump ha continuato a difendere la sua scelta, ribadendo che l’obiettivo resta impedire che l’Iran ottenga un’arma nucleare, in coerenza con la dottrina America First. Ha escluso esplicitamente di voler rovesciare il regime iraniano, salvo poi scrivere su Truth Social: “Non è politicamente corretto usare il termine ‘cambio di regime’, ma se l’attuale regime iraniano non è in grado di RENDERE L’IRAN GRANDE DI NUOVO, perché non dovrebbe esserci un cambio di regime???”.

Il vicepresidente JD Vance, rispondendo alle critiche, ha sottolineato la differenza con il passato: “Allora avevamo presidenti stupidi. Ora ne abbiamo uno che sa davvero come raggiungere gli obiettivi della sicurezza nazionale americana.” Ha però ammesso che un ulteriore intervento militare non è escluso: “Se attaccheranno le nostre truppe o continueranno a sviluppare un’arma nucleare, risponderemo con forza schiacciante.”

Da candidato nel 2016, Trump aveva criticato l’intervento in Iraq deciso da George W. Bush. Nella campagna del 2024 ha imputato a Joe Biden la responsabilità dei conflitti in Ucraina e a Gaza. Alla convention di Milwaukee aveva promesso di “fermare le guerre con una telefonata.” Tuttavia, le crisi internazionali hanno già assorbito buona parte dei suoi primi mesi di mandato, rallentando l’avanzamento del programma legislativo, compresi i rimpatri di massa promessi in campagna.

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