Al Congresso il tempo stringe per un accordo sul bilancio ed i democratici sono pronti a dare battaglia

All’orizzonte resta il rischio di uno “shutdown”, mentre Trump insiste su tagli, dazi e riorganizzazioni che mettono a dura prova il fragile equilibrio al Congresso.

Al Congresso il tempo stringe per un accordo sul bilancio ed i democratici sono pronti a dare battaglia
Foto di Louis Velazquez / Unsplash

A Washington è iniziata una corsa contro il tempo: il 14 marzo scadranno i fondi federali e il Presidente Donald Trump, insieme allo Speaker della Camera Mike Johnson e al leader della maggioranza al Senato John Thune, deve trovare i voti necessari per evitare la paralisi delle agenzie governative.

Con un solo voto di margine alla Camera e le regole del Senato che richiedono 60 voti per l'approvazione di una legge ordinaria, i repubblicani si vedono costretti a cercare il supporto dei democratici.

I rapporti tra i due Partiti sono però ai minimi storici, a seguito di una campagna elettorale senza esclusioni di colpi, durante la quale l'attuale presidente ha più volte definito esplicitamente i democratici come "il nemico" da abbattere.

La tensione si è ulteriormente acuita quando la Casa Bianca ha annunciato una serie di misure unilaterali: l’imposizione di nuovi dazi su Canada, Messico e Cina, la revoca della protezione contro l'espulsione per centinaia di migliaia di venezuelani e il possibile trasferimento dell'Agenzia Statunitense per lo Sviluppo Internazionale (USAID) al Dipartimento di Stato.

Non è tutto: l’Amministrazione ha tentato, salvo poi fare retromarcia a seguito delle polemiche, di congelare fondi già approvati dal Congresso.

Per i democratici, queste mosse accentuano ulteriormente le divergenze, rendendo ogni compromesso sempre più difficile da raggiungere.

Il clima politico si fa ancora più teso alla luce delle proposte del presidente di alzare il tetto del debito fino al 2029 e dell’urgenza di destinare decine di miliardi di dollari ai soccorsi in California, recentemente devastata dagli incendi.

Di fronte a tali richieste, i negoziatori democratici del Congresso – guidati al Senato da Patty Murray e alla Camera da Rosa DeLauro – chiedono, in contropartita, garanzie quali un aumento minimo dell’1% delle spese federali rispetto all’anno fiscale 2024 e un meccanismo che obblighi legalmente l’Amministrazione Trump a impiegare le risorse secondo le direttive del Congresso.

Il Presidente Trump, invece, insiste su un percorso di riforme finalizzato alla riduzione delle spese federali, che dovranno servire a riconfermare e, se possibile, ulteriormente espandere i tagli alle tasse da lui varati nel 2017.

Su questo punto, si registra un acceso scontro interno al Partito Repubblicano: la Commissione Bilancio della Camera, incaricata di approvare la risoluzione per il via libera al cosiddetto “budget reconciliation package”, è profondamente divisa sulla misura dei tagli necessari per compensare la riduzione delle uscite.

Con una maggioranza estremamente risicata, lo Speaker Mike Johnson fatica a mediare tra l’ala ultraconservatrice e i moderati, preoccupati che una politica di tagli eccessivi possa ritorcersi contro di loro alle elezioni di midterm del 2026.

Parallelamente, in Senato si svolge la delicata partita delle conferme dei membri del gabinetto di Trump.

Le nomine di Chris Wright per il Ministero dell’Energia e di Pam Bondi per il Ministero della Giustizia sembrano prossime all’approvazione, mentre quella di Robert F. Kennedy Jr. per il Ministero della Salute solleva perplessità anche all'interno del fronte repubblicano, a causa delle sue precedenti posizioni sui vaccini.

Simili incertezze accompagnano la candidatura di Tulsi Gabbard, proposta per la guida dell’intelligence nazionale, che deve fronteggiare lo scetticismo di alcuni senatori conservatori.

Come se non bastasse, è entrato in scena Elon Musk con il suo “Dipartimento per l’Efficienza del Governo” (DOGE).

Musk ha avuto uno scontro pubblico con alcune figure di spicco del Partito Repubblicano, in merito alle conferme delle nomine di Trump, per poi cancellare i suoi post a seguito di critiche giudicate eccessive.

Resta alta la curiosità su quanto potrà influire il miliardario sul processo decisionale al Senato, aggiungendo un ulteriore elemento di instabilità alle già difficili audizioni in corso.

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