White With Fear: il risentimento bianco e la strumentalizzazione politica

Il documentario ricostruisce decenni di strategia politica e mediatica mirata ad alimentare le tensioni razziali, evidenziando come il risentimento bianco sia stato usato per smantellare i progressi dei diritti civili

White With Fear: il risentimento bianco e la strumentalizzazione politica

Un nuovo documentario indaga sui tentativi sistematici, portati avanti nel tempo da politici e media, di presentare gli americani bianchi come vittime e alimentare le tensioni razziali nel Paese. White With Fear, disponibile in streaming dal 3 giugno, analizza le origini e l’evoluzione del risentimento bianco negli Stati Uniti, sostenendo che questo sentimento abbia contribuito in modo significativo al ridimensionamento dei progressi ottenuti nei decenni di lotta per i diritti civili.

Diretto da Andrew Goldberg, il documentario si avvale di numerose interviste: studiosi, giornalisti, ex esponenti del Partito Repubblicano, influencer di destra – sia attuali che del passato – e figure di primo piano come Hillary Clinton e Steve Bannon offrono un quadro composito di come il risentimento bianco sia diventato uno strumento politico.

Il racconto parte dal presidente Richard Nixon, che secondo il film usava il tema della criminalità come richiamo razzista mascherato, passando poi per gli attacchi del movimento Tea Party contro il presidente Barack Obama, fino ad arrivare alla politica profondamente polarizzata dell’era Trump.

Goldberg ha dichiarato ad Axios che l’idea del documentario è nata nel contesto della pandemia e dopo l’omicidio di George Floyd, momenti in cui il paese sembrava pronto ad affrontare una nuova conversazione sulla razza. "Ci siamo proposti di pensare a un film che esplorasse questo concetto di bianchezza", ha spiegato. Tuttavia, ha aggiunto, l’attenzione si è presto spostata: la reazione al movimento Black Lives Matter ha riattivato un risentimento bianco latente, rinfocolato da media conservatori, social media e successivamente dall’azione politica di Donald Trump.

Il regista ritiene che fenomeni come i divieti sui libri, le leggi che limitano la discussione sulla schiavitù nelle scuole e la diffusione di materiale razzista online indichino un cambiamento più profondo. Gli esponenti politici utilizzavano ad esempio il secondo nome di Obama – Hussein – per evocare immagini negative, mentre crimini isolati commessi da immigrati venivano amplificati. La riforma dell’immigrazione veniva presentata come una minaccia demografica ed economica diretta.

Particolare attenzione è riservata alle strategie dei media conservatori. Brian Stelter, critico della CNN, definisce il fenomeno come la nascita di un vero e proprio "complesso industriale della paura bianca", responsabile di aver approfondito le divisioni sociali. Katie McHugh, ex scrittrice e produttrice del sito Breitbart, ammette nel film di aver prodotto contenuti razzisti che venivano accolti con entusiasmo dai sostenitori di Trump. Stuart Stevens, ex stratega della campagna di Mitt Romney nel 2012 e co-fondatore del Lincoln Project, sostiene che l’ambiente politico attuale non mira più a risolvere problemi reali, ma a sfruttare l’animosità razziale per ottenere successi elettorali.

Una testimonianza centrale è quella di Steve Bannon, ex consigliere di Trump, che offre nel film una ricostruzione esplicita delle strategie mediatiche adottate. Bannon spiega come lui e altri abbiano costruito un ecosistema mediatico parallelo, inondandolo di contenuti della destra radicale per orientare l’opinione pubblica. "Abbiamo messo insieme una rete di persone che continuano a diffondere sempre più informazioni", afferma. "Se diffondi informazioni e hai moltiplicatori di forza che le spingono, le persone inizieranno a elaborarle da sole."

Secondo Bannon, un obiettivo centrale di questa rete era il blocco della riforma bipartisan sull’immigrazione, ottenuto pubblicando articoli quotidiani e attaccando incessantemente le reti televisive. Il documentario mostra clip in cui commentatori conservatori ripetono stereotipi razzisti sui migranti latino-americani. McHugh racconta che la strategia consisteva nel prendere “sentimenti reazionari e razzisti” e mostrare come le “élite” avessero tradito l’uomo bianco della classe operaia.

Il film evidenzia anche l’impatto che queste strategie hanno avuto sui giovani operatori mediatici. McHugh afferma di aver ricevuto elogi e incoraggiamenti da funzionari di alto livello dell’amministrazione Trump dopo la pubblicazione dei suoi articoli. Un processo di legittimazione interna che rafforzava la spirale mediatica del risentimento.

White With Fear arriva in un momento in cui l’amministrazione Trump ha adottato un approccio aggressivo verso la legislazione dei diritti civili. Le norme dell’epoca Johnson sono state reinterpretate per concentrarsi sul presunto “razzismo anti-bianco”, mentre numerose protezioni antidiscriminatorie sono state smantellate. Secondo il documentario, questo è un tentativo sistematico di cancellare l’eredità dei diritti civili degli anni ’60.

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