Washington DC raggiunge un accordo con l’amministrazione Trump sul controllo della polizia

Dopo una causa legale contro quella che era stata definita una «presa di controllo ostile» da parte del presidente, la capitale americana ha trovato un compromesso che mantiene la leadership cittadina sulle forze dell’ordine, pur con una forte presenza federale e militare.

Washington DC raggiunge un accordo con l’amministrazione Trump sul controllo della polizia
U.S. Marshals Service

La città di Washington e l’amministrazione del presidente Donald Trump hanno raggiunto un accordo sul controllo della polizia locale, al termine di una giornata segnata da tensioni istituzionali e battaglie legali. Venerdì 15 agosto, poche ore dopo che il procuratore della capitale, Brian Schwalb, aveva presentato una denuncia per quella che ha definito una «usurpazione illegale» dell’autorità cittadina, le due parti hanno trovato un compromesso in un tribunale federale.

L’intesa prevede che la capo della polizia di Washington, Pamela Smith, resti alla guida delle forze dell’ordine, mentre Terry Cole, nominato dal governo federale come «responsabile d’emergenza», impartirà direttive passando attraverso gli uffici della sindaca Muriel Bowser. La soluzione è stata incoraggiata dalla giudice Ana Reyes, che ha esortato le parti a evitare uno scontro diretto sulle competenze.

Il procuratore Schwalb ha dichiarato di essere soddisfatto dell’esito, sottolineando che la legge è chiara: la supervisione della polizia deve rimanere nelle mani delle autorità cittadine. «Non abbiamo bisogno di una presa di controllo ostile da parte dello Stato federale per fare ciò che facciamo quotidianamente», ha detto in conferenza stampa.

Lo scontro è nato dopo che, all’inizio della settimana, il presidente Trump aveva annunciato di voler porre il mantenimento dell’ordine pubblico nella capitale sotto la responsabilità della sua amministrazione, giustificando la decisione con la necessità di «ripulire» una città che, a suo dire, sarebbe «invasa da gang violente». Contestualmente, la ministra della giustizia Pam Bondi aveva nominato Cole, capo della Drug Enforcement Administration (DEA), come nuova figura di comando per la polizia locale.

La mossa è stata subito contestata dalle autorità cittadine, che hanno ricordato come la legge federale non preveda la possibilità di esautorare la catena di comando scelta dalla municipalità. Washington ha uno statuto particolare: non appartiene a nessuno Stato, gode di un’autonomia limitata e resta soggetta al controllo del Congresso. Proprio questa specificità la rende più vulnerabile alle decisioni della Casa Bianca.

Secondo i dati ufficiali, la criminalità violenta nella capitale è in calo e si trova «al livello più basso degli ultimi trent’anni», ha dichiarato la sindaca Bowser. Nonostante ciò, l’amministrazione Trump ha fatto leva sulla percezione di insicurezza per giustificare misure straordinarie, tra cui il dispiegamento di 800 soldati della Guardia nazionale nelle strade della città. Il Pentagono ha precisato che i militari resteranno «fino a quando l’ordine pubblico sarà ristabilito, come deciso dal presidente».

Non è la prima volta che Trump utilizza le forze federali e la Guardia nazionale in contrasto con le autorità locali. Già in giugno aveva mobilitato i militari in California, nonostante l’opposizione del governatore Gavin Newsom, per rispondere alle proteste di Los Angeles contro la politica migratoria.

A Washington, la controversia ha assunto un significato politico e simbolico particolare. La capitale ospita le istituzioni federali e riceve regolarmente delegazioni e leader stranieri. Il presidente ha più volte minacciato di riportarla sotto pieno controllo federale, collegando la sua immagine di città all’idea di ordine e prestigio nazionale. Ha inoltre chiesto lo sgombero dei senza dimora, dichiarando di voler eliminare i «bidonville» che a suo giudizio deturpano il volto della capitale.

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