Washington chiede il rigetto della causa contro la pillola abortiva
Il Dipartimento di Giustizia sostiene che Idaho, Missouri e Kansas non abbiano legami con il tribunale del Texas in cui si discute il caso. L’amministrazione Trump mantiene la linea del governo Biden nella difesa della FDA

Il Dipartimento di Giustizia degli Stati Uniti ha richiesto lunedì il rigetto di una causa intentata contro la Food and Drug Administration (FDA), mirata a limitare drasticamente l’accesso alla mifepristone, uno dei due farmaci utilizzati nell’aborto farmacologico. La posizione espressa dall’amministrazione del presidente Trump rappresenta una continuità rispetto alla linea difensiva adottata dal precedente governo Biden, schierata in difesa della legalità delle procedure adottate dalla FDA.
Il documento, depositato in tribunale, si concentra sulle motivazioni procedurali legate alla sede della controversia. Il Dipartimento di Giustizia (DOJ) sostiene che i tre stati coinvolti – Idaho, Missouri e Kansas – non abbiano alcuna connessione con il Distretto Settentrionale del Texas, dove è stato avviato il procedimento legale. Secondo il DOJ, gli stati in questione hanno la facoltà di avanzare rivendicazioni nei rispettivi tribunali distrettuali, ma non possono proseguire nella sede attuale. “Al di fuori di questa controversia, gli Stati non contestano che le loro rivendicazioni non abbiano alcuna connessione con il Distretto Settentrionale del Texas”, si legge nel testo depositato. “Gli stati non possono mantenere in vita una causa in cui è stato stabilito che i querelanti originari non avevano legittimazione ad agire, questi querelanti hanno ora volontariamente ritirato le loro richieste, e le rivendicazioni degli Stati stessi non hanno alcun collegamento con questo Distretto.”
I tre stati non hanno infatti avviato una causa separata, ma sono stati autorizzati a intervenire in una controversia legale già esistente. La causa era stata intentata nel 2022 da un gruppo di medici anti-abortisti e associazioni mediche contrarie all’uso della mifepristone. Nel 2023, la Corte Suprema aveva respinto la causa, stabilendo che i querelanti privati non disponevano della legittimazione necessaria per contestare l’accesso al farmaco: i giudici avevano concluso che i medici conservatori non avevano dimostrato di aver subito danni diretti dalle decisioni della FDA.
La richiesta del Dipartimento di Giustizia rappresenta la prima occasione formale in cui l’amministrazione Trump si esprime sul caso, confermando l’intento di difendere la legalità dell’operato della FDA. Dal canto loro, gli stati repubblicani coinvolti nel procedimento sostengono che le modifiche apportate dalla FDA a partire dal 2016 abbiano consentito una diffusione incontrollata del farmaco nei loro territori, mettendo in pericolo la salute delle donne e compromettendo le leggi locali che limitano l’accesso all’aborto.
Le contestazioni riguardano in particolare l’insieme di decisioni adottate dalla FDA per ampliare l’accesso alla mifepristone: tra queste, l’estensione dell’utilizzo fino alla decima settimana di gravidanza, la possibilità di prescrizione tramite consulti di telemedicina e l’invio del farmaco per posta. Tali misure, secondo i querelanti, rappresenterebbero un indebito allentamento delle garanzie e un'invasione delle competenze statali.
Oltre a eccepire la competenza territoriale del tribunale, il Dipartimento di Giustizia ha anche sottolineato una questione di merito legata ai tempi dell’azione legale. Il governo ha sostenuto che la contestazione delle decisioni della FDA risalenti al 2016 sia ormai decaduta per decorrenza dei termini: secondo la legge, le contestazioni di atti amministrativi devono infatti essere presentate entro sei anni dalla loro entrata in vigore.
La FDA ha ribadito in più occasioni che la mifepristone è sicura e che, in combinazione con il misoprostolo, costituisce un metodo efficace e approvato per l’aborto farmacologico, rappresentando un’alternativa sicura rispetto agli interventi chirurgici. Le valutazioni di sicurezza non sono tuttavia state oggetto della recente pronuncia della Corte Suprema, che si è limitata a esaminare la legittimazione ad agire delle parti coinvolte, senza entrare nel merito delle normative contestate.