Wall Street non crede più a Trump
"Trump Always Chickens Out". Il presidente rifiuta l’etichetta coniata dai mercati per descrivere la sua instabilità nei dazi, mentre Wall Street si adatta alle sue mosse altalenanti

Wall Street sta imparando a convivere con l’imprevedibilità delle politiche tariffarie del presidente Donald Trump. Tra minacce, retromarce e rialzi improvvisi, gli investitori hanno coniato un nuovo acronimo per descrivere la dinamica che si è instaurata negli ultimi mesi: TACO, ovvero Trump Always Chickens Out. Secondo questa logica, non è il caso di farsi prendere dal panico ogni volta che Trump annuncia nuovi dazi, perché alla fine tende sempre a fare marcia indietro, aprendo la strada a un rimbalzo dei mercati.
Il presidente ha reagito per la prima volta a questa definizione mercoledì 28 maggio, durante un incontro con la stampa nello Studio Ovale. “Io faccio marcia indietro? Non ho mai sentito questa”, ha detto Trump quando un giornalista gli ha chiesto un commento sul termine inventato dal commentatore del Financial Times Robert Armstrong. “Intendete perché ho ridotto la Cina dal 145% che avevo imposto, poi al 100 e infine a un altro numero?”, ha replicato, riferendosi alle sue recenti decisioni sui dazi alle importazioni cinesi. Dopo averli portati fino al 145% nel mese di aprile, l’amministrazione li ha poi gradualmente abbassati fino all’attuale 30% senza ottenere nulla in cambio.
La settimana precedente, Trump aveva minacciato di applicare dazi del 50% sulle merci provenienti dall’Unione Europea a partire dal 1° giugno. Le borse avevano subito un calo immediato dopo l’annuncio, soprattutto perché il presidente aveva escluso qualsiasi possibilità di negoziazione. Tuttavia, due giorni dopo, in seguito a colloqui che ha definito “promettenti”, Trump ha dichiarato che avrebbe posticipato la misura al 9 luglio. Alla riapertura dei mercati dopo il Memorial Day, gli indici azionari hanno chiuso in rialzo.
“Mi hanno chiamato i leader europei dicendo: ‘Per favore, incontriamoci subito’”, ha spiegato Trump, giustificando così la sua decisione di rinviare l’imposizione dei dazi. “Questo lo chiamate tirarsi indietro?”, ha ribattuto al giornalista, per poi aggiungere: “Si chiama negoziazione”.
Secondo il presidente, parte della sua strategia negoziale consiste nel fissare inizialmente “numeri ridicolmente alti” per i dazi, da abbassare successivamente se l’altra parte accetta di fare concessioni. “Non dite mai più quello che avete detto”, ha concluso, definendo la domanda del giornalista “la più cattiva in assoluto”.
Il caso dei dazi alla Cina e all’Unione Europea non è l’unico esempio del comportamento ondivago dell’amministrazione. Il 2 aprile, Trump aveva annunciato una serie di dazi “reciproci” su decine di Paesi, con entrata in vigore prevista per il 9 aprile. Tuttavia, poche ore dopo l’attuazione delle misure, è arrivato l’annuncio di una sospensione di 90 giorni per tutti i Paesi coinvolti, ad eccezione della Cina. La motivazione, ha spiegato, è stata la reazione negativa dei mercati: “Gli investitori stavano diventando troppo chiassosi”.
Nei giorni precedenti la sospensione, i mercati avevano mostrato segni di forte tensione. L’indice S&P 500 era vicino a entrare in territorio di mercato ribassista, mentre i rendimenti obbligazionari erano aumentati bruscamente, segnale di vendite massicce sul debito statunitense. Dopo l’annuncio della pausa, lo stesso S&P 500 ha registrato la sua migliore giornata dal 2008.
Il fenomeno TACO sembra quindi riflettere una nuova consapevolezza degli investitori: le minacce di dazi da parte di Trump possono avere un impatto immediato sui mercati, ma spesso sono seguite da un ripensamento che porta a un rimbalzo degli indici. In questo contesto, l’instabilità stessa diventa prevedibile, e chi investe cerca di anticipare i cambiamenti di rotta del presidente più che reagire ai suoi annunci.