Vittime collaterali: i dazi di Trump e il crollo del petrolio minacciano la tenuta del bilancio russo

Il prezzo del petrolio degli Urali scende sotto i 50 dollari al barile, mettendo a rischio le entrate della Federazione Russa mentre l'aumento delle spese militari resta una priorità assoluta per il governo di Vladimir Putin.

Vittime collaterali: i dazi di Trump e il crollo del petrolio minacciano la tenuta del bilancio russo

La Russia sta affrontando una potenziale crisi di bilancio causata dalla "tempesta perfetta" scatenata dall'ondata di dazi imposti dall'Amministrazione del presidente Donald Trump.

Il prezzo del petrolio degli Urali, la principale varietà esportata dai produttori russi, è infatti precipitato sotto i 50 dollari al barile per la prima volta dal luglio 2023, secondo quanto riportato da RBK, che cita dati di Argus. Rispetto ai valori di metà gennaio, quando il petrolio degli Urali quotava 70 dollari o più, il greggio russo ha subito un calo drastico, perdendo oltre 20 dollari al barile, pari a una riduzione di circa il 33%.

Sebbene il 10 aprile si sia registrata una lieve ripresa delle quotazioni, salite intorno ai 51 dollari, il prezzo resta comunque inferiore di quasi un terzo rispetto ai 69,7 dollari previsti nel bilancio federale russo.

La brusca diminuzione del prezzo del petrolio è attribuibile principalmente a due fattori: le guerre commerciali avviate dagli Stati Uniti sotto la presidenza Trump e l'incremento della produzione petrolifera da parte dell'OPEC+. Questa combinazione ha messo la Russia "di fronte a una crisi economica", secondo Yanis Kluge, ricercatore presso l'Istituto tedesco per i problemi di sicurezza internazionale.

Le conseguenze sul bilancio federale russo sono notevoli, dato che un rublo su quattro dipende proprio dalle entrate petrolifere. Quest'anno, il governo ha previsto una spesa di circa 13 mila miliardi di rubli (circa 137 miliardi di euro) per l'esercito e gli armamenti.

Tuttavia, con il petrolio Urals sotto i 50 dollari al barile, il Ministero delle Finanze sarà inevitabilmente costretto a tagliare le spese. Gli analisti di MMI prevedono che le entrate derivanti dalle materie prime subiranno un ammanco di circa 1,9 mila miliardi di rubli (circa 20 miliardi di euro). Se il prezzo dovesse scendere ulteriormente, raggiungendo i 45 dollari, il deficit di bilancio potrebbe addirittura toccare i 3 mila miliardi di rubli (circa 32 miliardi di euro), secondo le stime di Raiffeisenbank.

I segnali di difficoltà sono già visibili. A marzo, quando il prezzo medio del petrolio degli Urali era di circa 59 dollari, le entrate fiscali provenienti da petrolio e gas sono diminuite del 17%. Per coprire questo deficit, il Ministero delle Finanze russo ha iniziato a vendere quotidianamente valuta estera prelevandola dal Fondo Nazionale di Benessere.

Nel primo trimestre dell'anno, il deficit di bilancio è già arrivato a 2,17 mila miliardi di rubli (circa 23 miliardi di euro), ovvero quasi il doppio rispetto a quanto preventivato per l'intero anno. Nonostante le difficoltà finanziarie, gli esperti ritengono che la spesa militare continuerà a essere prioritaria per il governo russo.

Secondo Alexander Isakov, economista di Bloomberg Economics specializzato in Russia, i contratti per il complesso militare-industriale sono stati in larga parte già finanziati grazie alle ingenti spese sostenute nel primo trimestre. Anche Aleksandra Prokopenko, ricercatrice presso il Carnegie Russia Eurasia Center, conferma che le voci di bilancio destinate alla difesa saranno le ultime a subire eventuali tagli.

Tuttavia, quando il Ministero delle Finanze russo ha pianificato il bilancio prevedendo un prezzo di 70 dollari al barile, aveva già adottato "ipotesi piuttosto audaci", come osserva Sergey Vakulenko, esperto del Carnegie Center di Berlino, aggiungendo che la situazione attuale "costringerà a ripensare molte cose".

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