Venezuela libera 10 cittadini statunitensi in cambio di oltre 250 prigionieri in El Salvador

Lo scambio di prigionieri, frutto di mesi di trattative tra Washington, Caracas e San Salvador, segna la fine della detenzione di americani in Venezuela, ma suscita critiche per le modalità delle espulsioni.

Venezuela libera 10 cittadini statunitensi in cambio di oltre 250 prigionieri in El Salvador
Ambasciata statunitense in Venezuela

Dieci cittadini statunitensi detenuti in Venezuela sono stati rilasciati venerdì 18 luglio in seguito a uno scambio di prigionieri con El Salvador. Il governo di Nayib Bukele ha inviato a Caracas più di 250 venezuelani rinchiusi nel Centro di Confinamento del Terrorismo (Cecot), una struttura di massima sicurezza, in cambio degli americani imprigionati dal presidente Nicolás Maduro.

Bukele ha dichiarato che lo scambio è stato il risultato di mesi di negoziati che hanno coinvolto funzionari dei tre Paesi. In un video diffuso sul social X, si vedono cittadini venezuelani ammanettati, coperti di tatuaggi, scortati da forze di sicurezza in assetto antisommossa mentre salgono a bordo di un aereo diretto a Caracas. Il presidente salvadoregno non ha precisato il numero esatto di prigionieri coinvolti nello scambio.

Il segretario di Stato statunitense Marco Rubio ha annunciato che Caracas libererà anche prigionieri politici, senza specificare quante persone saranno effettivamente rilasciate. Gli americani liberati sono partiti da Caracas verso El Salvador, dove erano attesi da Bukele e dall’inviato speciale per gli ostaggi, Adam Boehler. Una foto scattata al loro arrivo li mostra con i pantaloni azzurri delle divise carcerarie, in posa insieme al diplomatico John McNamara, mentre sventolano bandiere statunitensi. Secondo funzionari americani, con questo rilascio non restano più cittadini statunitensi detenuti in Venezuela.

La maggior parte dei cittadini liberati era stata considerata “illegittimamente detenuta” dal Dipartimento di Stato, dopo essere stata arrestata dalle forze di sicurezza venezuelane per aver attraversato il confine dalla Colombia o per viaggi interni al Paese.

Un ruolo centrale nello scambio è stato giocato dalle espulsioni operate dagli Stati Uniti nei mesi precedenti. L’amministrazione Trump, invocando l'Alien Enemies Act del 1789, aveva espulso centinaia di venezuelani verso El Salvador lo scorso marzo, nonostante un’ordinanza di un giudice avesse imposto di fermare i voli. I funzionari statunitensi avevano accusato i deportati di legami con gang, sebbene i tribunali americani avessero riscontrato scarse prove in merito. I venezuelani erano stati rinchiusi nel Cecot, una prigione che Bukele ha dichiarato di voler ampliare.

Il caso di Kilmar Abrego Garcia, residente nel Maryland, ha attirato particolare attenzione. Abrego Garcia era stato deportato per un errore burocratico e successivamente riportato negli Stati Uniti il mese scorso per affrontare accuse di traffico di esseri umani. L’uomo, che si è dichiarato non colpevole, è diventato un simbolo delle criticità della procedura, spingendo diversi deputati democratici a chiedere la sua liberazione e ad avviare un’inchiesta parlamentare.

Secondo atti processuali, molti dei venezuelani espulsi avevano richieste di asilo ancora aperte negli Stati Uniti e temono persecuzioni in caso di ritorno in patria. Molti di loro lavoravano come barbieri, muratori o fattorini, senza precedenti penali.

Organizzazioni per i diritti umani hanno condannato lo scambio. Lee Gelernt, avvocato dell’American Civil Liberties Union che ha guidato i ricorsi contro la detenzione al Cecot, ha criticato l’amministrazione per aver lasciato “queste persone a languire per mesi in isolamento in una delle prigioni più note al mondo senza alcun giusto processo, cercando ora con questa mossa di evitare qualsiasi responsabilità giudiziaria.”

Bukele aveva proposto uno scambio di prigionieri già lo scorso aprile. In un messaggio a Maduro, pubblicato sui social, aveva suggerito “un accordo umanitario che includa il rimpatrio del 100% dei venezuelani deportati, in cambio della liberazione e consegna di un numero identico di prigionieri politici.”

Il governo di Caracas aveva inizialmente bollato la proposta come cinica, accusando Stati Uniti ed El Salvador di “gravi violazioni del diritto internazionale dei diritti umani” nei confronti dei propri cittadini. Maduro aveva più volte criticato la gestione degli espulsi e definito il Cecot “un campo di concentramento”.

Il ministro dell’Interno venezuelano, Diosdado Cabello, ha salutato il ritorno dei connazionali durante una conferenza stampa all’aeroporto, senza però commentare lo scambio di prigionieri con Washington. “Questa è una buona notizia per il Venezuela,” ha dichiarato. “Queste persone erano state rapite e perseguitate in territorio statunitense.”

Nel frattempo, a Caracas, centinaia di sostenitori del regime hanno manifestato chiedendo agli Stati Uniti di riunire i minori venezuelani alle famiglie dopo la campagna di espulsioni.

Lo scambio avviene in un contesto di negoziati difficili tra Washington e il governo di Maduro. Dall’inizio dell’amministrazione Trump, Caracas ha cercato di ottenere un allentamento delle sanzioni economiche in cambio dell’accoglienza dei rimpatriati. A gennaio, il Venezuela aveva già rilasciato sei cittadini statunitensi durante la visita dell’inviato presidenziale Ric Grenell e, quattro mesi dopo, aveva liberato l’ex veterano dell’Air Force Joseph St. Clair.

A marzo, però, gli Stati Uniti hanno reintrodotto sanzioni al settore petrolifero venezuelano, revocando la licenza a Chevron per operare nel Paese, accusando il governo di Maduro di non accettare i voli di rimpatrio con la dovuta rapidità. Dall’inizio di febbraio, il Venezuela ha accolto circa due voli di espulsione a settimana: oltre 30 aerei hanno riportato nel Paese più di 4.000 cittadini venezuelani. Negli ultimi dieci anni, circa otto milioni di venezuelani sono fuggiti dal Paese a causa dell’iperinflazione e della repressione.

Secondo funzionari statunitensi, dal 20 gennaio l’amministrazione Trump ha garantito la liberazione di 72 cittadini americani detenuti all’estero, compresi i dieci rilasciati nell’operazione di venerdì.

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