Trump vuole parlare con Xi, ma Xi non lo chiama

Il presidente statunitense insiste su un confronto diretto con il leader cinese, ma Xi Jinping evita il dialogo mentre la tensione sui dazi affonda i mercati e irrigidisce i rapporti diplomatici

Trump vuole parlare con Xi, ma Xi non lo chiama

La guerra commerciale tra Stati Uniti e Cina non sembra vicino a una fine. Il presidente Donald Trump ha dichiarato di aspettarsi una telefonata da parte del presidente cinese Xi Jinping, ma quest’ultimo continua a non rispondere, evitando contatti diretti e rafforzando invece i legami con altri paesi del Sud-est asiatico.

Nel corso di un incontro di gabinetto, Trump ha ribadito il proprio rispetto per Xi, definendolo "un amico da lungo tempo" e mostrando fiducia in un possibile accordo che possa giovare a entrambe le nazioni. Tuttavia, le aspettative della Casa Bianca si scontrano con la realtà: Xi si è recato in Malesia per rafforzare le alleanze regionali, mentre da Pechino giungono segnali di resistenza. Un video diffuso all’inizio del mese dalla portavoce del ministero degli Esteri cinese mostrava Mao Zedong nel 1953, durante la guerra di Corea, affermare: “Per quanto durerà questa guerra, non cederemo mai. Combatteremo fino alla vittoria completa”.

Questo clima riflette il deterioramento di quella che Trump sperava potesse diventare una “bromance” diplomatica con Xi, scrive il New York Times. La mancata telefonata simbolizza non solo il fallimento di una strategia personale, ma anche l’aggravarsi delle tensioni economiche e politiche tra le due potenze. Dall’insediamento di Trump il 20 gennaio, migliaia di miliardi di dollari sono andati in fumo nei mercati statunitensi, e il rischio di una recessione appare sempre più concreto.

Il presidente statunitense ha cercato di replicare il suo schema abituale, fatto di scontri verbali iniziali per poi giungere a incontri tra leader. Ma con Xi, tale approccio si è rivelato inefficace. L’imposizione di un dazio del 125% sui beni cinesi, entrato in vigore il 9 aprile, ha avuto come unico effetto quello di irrigidire la posizione di Pechino. Xi, da parte sua, ha da tempo orientato la Cina verso un nazionalismo più marcato, sottolineando la necessità di contrastare le presunte ingerenze statunitensi nel governo del Partito Comunista. Secondo Ryan Hass, ricercatore della Brookings Institution ed ex direttore per la Cina al Consiglio di Sicurezza Nazionale sotto Obama, Xi ha investito gran parte della sua presidenza nella costruzione di un'immagine da difensore dell’onore nazionale e simbolo dell’ascesa cinese. “Farà di tutto per non apparire costretto a negoziare alle condizioni americane”.

Xi rifiuta dunque l’idea di un colloquio diretto senza che prima i team diplomatici dei due paesi abbiano stabilito una base solida per le discussioni, come è prassi nella diplomazia tradizionale. Trump, pur disponibile ai colloqui preliminari, resta convinto che solo un confronto tra leader possa portare risultati. Tuttavia, l’esperienza con Volodymyr Zelensky, presidente dell’Ucraina, ha dimostrato i rischi di questa strategia: a febbraio, un incontro alla Casa Bianca si è concluso in maniera burrascosa con un’esplosione verbale da parte di Trump e del vicepresidente JD Vance.

Secondo Yun Sun, analista presso lo Stimson Center, la reticenza di Xi nasce anche dal timore di essere trattato come Zelensky. “Il disordine attorno alla telefonata è un puro scontro di ego”, ha dichiarato, aggiungendo che Pechino preferisce l’invio di emissari a Washington per convincere gli assistenti di Trump a rivedere la linea dura sui dazi. Un tentativo in questo senso è stato fatto da Cui Tiankai, ex ambasciatore cinese negli Stati Uniti, ma secondo Sun, non ha avuto successo.

Mercoledì, la Cina ha nominato un nuovo inviato commerciale: Li Chenggang, ex rappresentante presso l’Organizzazione Mondiale del Commercio e già attivo durante il primo mandato Trump. Tuttavia, all’interno dell’amministrazione americana non c’è unanimità sull’opportunità di proseguire il dialogo. Peter Navarro, consigliere economico e figura influente nella definizione della politica verso la Cina, è favorevole a mantenere lo stallo. Coautore del libro Death by China e sostenitore di una netta separazione economica tra le due nazioni, Navarro è reduce da una condanna a quattro mesi di carcere per aver ignorato una citazione del Congresso legata alle indagini sulle elezioni del 2020.

Diversa la posizione del segretario al Tesoro Scott Bessent, ex gestore di fondi d’investimento e attento alle reazioni dei mercati. Bessent sostiene la necessità di colloqui tra le parti, affermando di avere “molta fiducia” nel rapporto personale tra Trump e Xi. Anche esponenti del settore finanziario, come Jamie Dimon di JPMorgan Chase, si sono espressi a favore di una ripresa immediata delle trattative.

Tuttavia, il segretario al Commercio Howard Lutnick ha precisato che Trump mira a una conversazione diretta con Xi. “Se riceveremo un contatto, lo passeremo al presidente. Si tratta davvero di lui. Ha detto pubblicamente che forse non sanno qual è il modo migliore per procedere, ma la risposta è una telefonata tra i due leader”.

Tuttavia, l’imposizione di dazi punitivi ha compromesso ogni tentativo di riavvicinamento. Secondo Ryan Hass, un incontro tra Trump e Xi potrà avvenire solo con la mediazione di un terzo paese interessato a facilitare un accordo che consenta a entrambi di fare un passo indietro senza perdere la faccia. Tra i candidati a questo ruolo, l’Europa, Singapore o il Vietnam.

Focus America non rappresenta una testata giornalistica in quanto viene aggiornato senza alcuna periodicità. Non può pertanto considerarsi un prodotto editoriale ai sensi della legge n° 62 del 7.03.2001.