Trump scuote l'Europa: il rapporto transatlantico sempre più in crisi dopo il suo ritorno alla Casa Bianca

In poche settimane, il ritorno di Trump alla Casa Bianca ha messo in discussione decenni di politiche di difesa occidentali. Dai commenti su Zelensky agli incontri tesi all'Onu, POLITICO ricostruisce come l'Europa ha iniziato a ripensare urgentemente la propria sicurezza.

Trump scuote l'Europa: il rapporto transatlantico sempre più in crisi dopo il suo ritorno alla Casa Bianca

La rielezione di Donald Trump alla presidenza degli Stati Uniti per un secondo mandato ha già avuto conseguenze rapide e profonde per l’Europa. A poche settimane dall’insediamento, una serie di mosse geopolitiche coordinate da Washington ha minato decenni di cooperazione transatlantica, spingendo le capitali europee a interrogarsi sulla solidità dell’alleanza con gli Stati Uniti.

Secondo quanto riportato da POLITICO, gli eventi culminati a metà febbraio con lo scontro pubblico tra Trump e Zelensky alla Casa Bianca hanno scatenato una crisi diplomatica e di sicurezza senza precedenti tra le due sponde dell’Atlantico.

Ucraina: lo spartiacque della nuova politica americana

Il primo segnale dell’imminente rottura è arrivato durante una riunione dei Ministri della Difesa della NATO a Bruxelles. In quella occasione il nuovo Segretario alla Difesa statunitense, Pete Hegseth, ha dichiarato che l’Ucraina dovrebbe rinunciare a recuperare i territori occupati dalla Russia e tornare ai confini pre-2014. Ha bollato come “illusorio” l’obiettivo di Kyiv di riconquistare integralmente il proprio territorio e ha negato l'esistenza di prospettive concrete per l’ingresso nell’Alleanza Atlantica.

Poco dopo, il presidente Trump ha annunciato su Truth Social di aver avviato, insieme a Vladimir Putin, negoziati per porre fine alla guerra, lasciando intendere che Volodymyr Zelenskyy sarebbe stato informato solo successivamente dei risultati di questi colloqui. Quella stessa notte, la Russia ha lanciato un attacco su larga scala contro l’Ucraina, impiegando 140 droni e colpendo duramente le città di Kherson e Zaporizhzhia.

La Conferenza di Monaco e l’affondo di Vance

Il clima di tensione ha raggiunto l’apice pochi giorni dopo alla Conferenza sulla Sicurezza di Monaco. JD Vance, vicepresidente statunitense e sostenitore della dottrina America First, ha scioccato la platea internazionale con un discorso in cui ha accusato i governi europei di ignorare la volontà popolare, le libertà religiose e la questione dell’immigrazione.

In tale discorso, Vance affermato che la minaccia principale per l’Europa non proveniva dall’esterno, ma “dal suo interno”. Il suo intervento ha allarmato profondamente i partecipanti: un diplomatico tedesco ha descritto l’episodio come “folle e preoccupante”.

In risposta all’escalation verbale e politica, i leader europei hanno convocato d’urgenza una riunione straordinaria a Parigi il 17 febbraio, seguita da un altro vertice due giorni dopo. Presenti Francia, Regno Unito, Germania, Italia, Spagna, Paesi Bassi, Danimarca e alti rappresentanti dell’UE. L’incontro, descritto dal primo ministro britannico Keir Starmer come “un momento unico nella generazione”, ha sancito un’inversione di rotta nelle strategie di difesa europee.

Starmer ha anche avanzato la disponibilità britannica a inviare truppe in Ucraina per sostenere un eventuale accordo di pace, supportando l’idea del presidente francese Emmanuel Macron di dispiegare forze di peacekeeping.

Trump attacca Zelensky e chiude le porte all’UE

Il giorno successivo, Trump ha pubblicamente criticato Zelensky per le sue lamentele sull’esclusione dai negoziati, accusandolo di aver provocato la guerra e definendolo “un dittatore senza elezioni”, riprendendo apertamente la propaganda del Cremlino.

In parallelo, i contatti tra Stati Uniti e istituzioni europee si sono ridotti drasticamente. Una delegazione del Parlamento europeo in visita a Washington si è vista annullare numerosi incontri, ricevendo come messaggio implicito: “arrangiatevi”.

A peggiorare la frattura, gli Stati Uniti si sono astenuti in un voto all’ONU contro l’invasione russa, segnando un drastico cambio di rotta rispetto al passato recente.

Nel tentativo di riallacciare i rapporti con Trump, Starmer ha annunciato il 25 febbraio un forte aumento della spesa militare britannica, finanziato con tagli agli aiuti internazionali. La manovra è stata accolta favorevolmente dal Pentagono, ma poco dopo il presidente statunitense ha nuovamente messo in difficoltà Londra dichiarando che non avrebbe offerto ulteriori garanzie di sicurezza all’Europa.

Nel frattempo, Macron è volato a Washington per cercare un riavvicinamento con Trump, spingendo affinché Zelensky fosse incluso nei colloqui in corso con la Russia. A Kyiv, gli altri leader europei hanno dato dimostrazione pubblica di sostegno al presidente ucraino.

Tuttavia, l’atteso incontro tra Zelensky e Trump si è concluso negativamente: il presidente ucraino ha insistito sulle garanzie di sicurezza, dando origine a un acceso scontro nella Sala Ovale tra i due leader, al quale ha preso parte anche JD Vance. Quello che avrebbe dovuto essere un vertice dedicato alla firma di un accordo sui minerali rari si è così trasformato in un disastro epocale d’immagine per gli Stati Uniti agli occhi dell’Europa.

Reazioni a catena: Berlino cambia rotta, l’Europa resta all’erta

L’eco dello scontro si è rapidamente diffusa in Europa. In Germania, il cancelliere in pectore Friedrich Merz ha annunciato un piano di spesa straordinaria da 500 miliardi di euro per rafforzare l’economia e la difesa, abbandonando il rigido freno al debito dell'epoca Merkel.

In Francia, invece, Macron ha immediatamente contattato Zelensky per rassicurarlo, mentre nel Regno Unito i funzionari governativi hanno gestito la crisi a distanza nel weekend.

Le settimane successive sono state segnate da tentativi di ricucitura diplomatica. Londra, Berlino e Parigi hanno cercato di mediare tra Trump e Zelensky, ma il rapporto tra i due presidenti sembra irrimediabilmente compromesso. Nonostante un cessate il fuoco limitato di 30 giorni tra Russia e Ucraina, promosso dagli Stati Uniti, non sono seguiti progressi tangibili.

Mentre Trump ha rivolto la sua attenzione a nuovi dazi e guerre commerciali, la questione ucraina è scivolata in secondo piano. Ma il danno era ormai fatto. La crisi di febbraio ha aperto una frattura profonda nei rapporti transatlantici, mettendo per la prima volta dal 1945 in discussione il ruolo degli Stati Uniti come garanti della sicurezza europea. Le capitali del continente restano in allerta, consapevoli che la stabilità dell’ordine internazionale a guida americana non può più essere data per scontata.

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