Trump scuote Davos: dall’Ucraina all’energia, torna in auge l’America First

È trascorso solo qualche giorno dall’insediamento di Donald Trump alla Casa Bianca, ma il nuovo Presidente degli Stati Uniti ha subito catalizzato l’attenzione del Forum Economico Mondiale di Davos, in Svizzera.
La platea di leader europei, top manager e analisti internazionali è rimasta in parte spiazzata dalle parole del Presidente, che ha parlato di una “rivoluzione del buon senso” avviata negli Stati Uniti.
Ma nel suo intervento, che ha miscelato toni celebrativi per la vittoria e affondi verso il suo predecessore Joe Biden, Trump ha anche rivendicato di aver messo in atto, in meno di una settimana, riforme che altre Amministrazioni non avrebbero saputo realizzare neppure in quattro anni.
L’elenco degli ordini esecutivi già firmati include iniziative volte a trasformare la politica sull’immigrazione, rivedere le normative ambientali, riformare la giustizia civile e ridefinire i rapporti di lavoro nel settore federale.
Trump ha definito “disastrose” le scelte di Biden, sottolineando come gli Stati Uniti fossero “fuori controllo” prima del suo ritorno alla presidenza e proclamando la necessità di agire con rapidità per “correggere gli errori del passato”.
Sul versante geopolitico, l’inquilino della Casa Bianca ha ribadito di voler incontrare presto Vladimir Putin per porre fine al conflitto in Ucraina, una guerra che giudica “uno spreco di vite umane”.
Quindi ha anche rivelato di voler fare affidamento sul ruolo della Cina per raggiungere la pace, spiegando che Pechino possiede “un grande potere sulla situazione”.
Trump ha poi definito “molto buona” la recente telefonata con il presidente Xi Jinping, ribadendo di avere un rapporto “davvero ottimo” con lui.
Da questa collaborazione, auspica, potrebbe emergere anche un percorso di “denuclearizzazione” in cui Cina e Russia potrebbero essere disponibili a ridurre i rispettivi arsenali.
Un altro pilastro del nuovo corso trumpiano è però la politica commerciale. Trump ha sparato a zero contro le attuali relazioni con Pechino, accusando la Cina di mantenere un sistema “profondamente ingiusto” che penalizza l’industria americana e genera deficit “ridicoli”.
Nondimeno, ha insistito su un obiettivo di “equilibrio” e di “parità di condizioni”, chiarendo di non voler distruggere la partnership commerciale con la seconda potenza economica mondiale, bensì renderla più equa dal punto di vista statunitense.
Allo stesso tempo, ha riservato critiche anche al Canada, sostenendo che gli Stati Uniti “non hanno bisogno” di importare automobili, legname o risorse energetiche dai vicini, perché dispongono di tutto il necessario sul proprio territorio ed affermando provocatoriamente che la porta è sempre aperta se il Canada volesse diventare parte degli Stati Uniti.
Nel suo discorso non è mancata la consueta enfasi sulle misure di stampo protezionistico: dall’annuncio di nuovi dazi per le aziende che producono all’estero, alla promessa di abbassare al 15% la tassazione d’impresa per chi invece investe e realizza beni sul suolo statunitense.
L’obiettivo dichiarato di Trump è rendere gli Stati Uniti un terreno di produzione e di business ancor più attraente, nonostante le proteste di quanti temono un’escalation di guerre commerciali internazionali.
L’affondo più controverso, però, ha riguardato la Federal Reserve. Trump ha ribadito di voler “chiedere” (o, come suggerisce il suo tono, imporre) un taglio drastico dei tassi di interesse, una mossa che rischia di cozzare con l’indipendenza della banca centrale guidata da Jerome Powell.
Quest’ultimo ha infatti sempre difeso la necessità di prendere decisioni slegate dalle pressioni politiche, mentre Trump ha mostrato chiara propensione ad intervenire direttamente per stimolare la crescita economica e porre un freno all’inflazione senza troppi indugi.
Il Presidente ha poi aperto un ulteriore fronte contro gli istituti bancari, accusandoli di commettere discriminazioni verso i conservatori. Ha puntato il dito in particolare su Bank of America, dicendo al CEO Brian Moynihan di “smettere” con queste presunte chiusure di conti a danno di esponenti della destra.
Moynihan ha preferito glissare, ringraziandolo invece per aver “ottenuto” i Mondiali di calcio del 2026, che si disputeranno in partnership con Canada e Messico, una candidatura avanzata proprio nel primo mandato di Trump.
Il discorso del Presidente si è quindi spostato sul terreno dell’energia. Trump ha garantito che gli Stati Uniti continueranno a dare forniture sicure di gas all’Europa, ancora scossa dalla crisi innescata dalla guerra ucraina e dalla forte riduzione degli approvvigionamenti russi.
Nel contempo, con un ordine esecutivo che ha definito “di emergenza nazionale”, ha avviato un drastico ridimensionamento delle politiche green di Joe Biden, cancellando provvedimenti chiave su veicoli elettrici e fonti rinnovabili.
Inoltre, Trump si è detto pronto a investire su nuove infrastrutture e centrali di produzione energetica per rafforzare la corsa statunitense all’intelligenza artificiale, area in cui l’influenza cinese è in costante ascesa.
Infine, Trump ha anche detto che intende richiedere all’Arabia Saudita — dopo aver espresso lodi nei confronti del principe ereditario saudita Mohammed Bin Salman, definito una persona fantastica — ed all’OPEC di “abbassare il costo del petrolio”.
A Davos, l’eco del discorso del Presidente ha lasciato generalmente gli osservatori divisi tra chi intravede una svolta radicale — un ritorno a politiche protezionistiche e unilaterali sullo stile del primo mandato Trump — e chi spera che le sparate più forti possano stemperarsi in fase di negoziato.
Di certo, la visione di un’“America First” di nuovo al timone, tra tagli alle tasse, riduzione dei tassi di interesse, aumenti di dazi e revisione degli assetti energetici, ha già lasciato una prima impronta del nuovo presidente nelle relazioni internazionali.