Trump non frena Netanyahu sull’offensiva a Gaza
Il presidente non ha chiesto moderazione né dato sostegno esplicito. L’assenza di pressioni da Washington è interpretata da Israele come un via libera implicito all’escalation.

Mentre Israele ha avviato una nuova offensiva terrestre contro la città di Gaza, il presidente Donald Trump ha scelto una posizione di sostanziale indifferenza. A differenza dell’amministrazione Biden, che nel 2024 aveva tentato di condizionare l’attacco a Rafah imponendo garanzie per la protezione dei civili, la Casa Bianca non ha avanzato richieste né minacciato di bloccare forniture militari.
Martedì, all’esterno della Casa Bianca, Trump ha dichiarato di non avere discusso la questione con il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu. Alla domanda se approvasse l’operazione militare, ha risposto: «Devo vedere, non so molto della questione».
La distanza rispetto al passato è evidente. Nei mesi precedenti il presidente aveva più volte chiesto la fine del conflitto, presentandosi come mediatore di pace. Ora, pur continuando a invocare la conclusione della guerra che dura da quasi due anni, sembra disposto ad assistere passivamente all’inasprirsi delle operazioni.
Diversi Paesi hanno avvertito che l’offensiva rischia di provocare un numero elevato di vittime civili e di prolungare ulteriormente la guerra. Ma senza pressioni da parte degli Stati Uniti, Israele non incontra ostacoli. Il peso decisivo degli aiuti militari americani conferisce infatti a Washington un ruolo unico: solo un presidente statunitense potrebbe imporre limiti a Netanyahu. La scelta di Trump di non intervenire equivale quindi a un tacito via libera.
Il contrasto con la linea seguita dall’amministrazione Biden rimane il punto centrale. All’epoca, la minaccia di sospendere l’invio di armi aveva costretto Israele a presentare un piano “credibile ed eseguibile” per proteggere i civili. Oggi, invece, l’assenza di condizioni da parte americana consente al governo israeliano di condurre le operazioni senza vincoli esterni.