Trump minaccia ma non licenzia il presidente della Federal Reserve
Il presidente statunitense accusa Jerome Powell di ostacolare la crescita, agita la minaccia di un licenziamento ma non passa (ancora) all’azione. I mercati reagiscono con volatilità, mentre gli alleati repubblicani si dividono.

Donald Trump ha dichiarato ieri che non intende, “almeno per ora”, licenziare Jerome Powell, presidente della Federal Reserve. La precisazione arriva dopo una serie di dichiarazioni contraddittorie e dopo che il presidente aveva mostrato a un gruppo di deputati repubblicani un documento già pronto per sollevarlo dall’incarico. Lo scontro tra Trump e Powell si inserisce in una strategia più ampia della Casa Bianca per forzare una riduzione dei tassi d’interesse, malgrado l’inflazione resti al di sopra del 2%.
Martedì sera Trump ha incontrato una decina di deputati repubblicani nello Studio Ovale per discutere una proposta di legge sulle criptovalute. L’occasione è stata sfruttata dal presidente per sollevare un tema a lui caro: la rimozione di Powell. Trump ha esibito una bozza di lettera di licenziamento e ha chiesto informalmente ai presenti se fosse opportuno procedere. Alcuni parlamentari, come la deputata della Florida Anna Paulina Luna, si sono espressi a favore, sostenendo che il presidente abbia piena autorità per farlo.
Mercoledì, Trump ha confermato alla stampa di aver sondato l’opinione dei deputati, ma ha aggiunto di non avere “alcuna intenzione imminente” di agire. Ha definito Powell un presidente della Fed che “fa un pessimo lavoro” e ha rilanciato critiche contro la gestione del bilancio dell’istituzione, facendo riferimento a un progetto di ristrutturazione degli edifici della banca centrale a Washington, costato finora 2,5 miliardi di dollari. “Non avrei mai immaginato che volesse spendere così tanto per costruire una piccola estensione”, ha dichiarato, suggerendo che una simile spesa potrebbe costituire una causa di licenziamento.
L’attacco più diretto riguarda la politica monetaria. Trump accusa Powell, che aveva nominato lui stesso nel 2017, di ostinarsi a non tagliare i tassi d’interesse, ignorando – secondo il presidente – la fine dell’emergenza inflazionistica. Attualmente, i tassi della Fed sono compresi tra il 4,25% e il 4,50%, e Trump chiede un taglio di tre punti percentuali.
La Fed ha finora mantenuto i tassi invariati nel 2025, ritenendo l’inflazione ancora troppo alta per una riduzione. L’ultimo dato disponibile mostra una ripresa dell’indice dei prezzi a giugno, con un tasso d’inflazione del 2,7%, ancora lontano dal target del 2%.
Sul fronte legale, la possibilità che un presidente possa licenziare il presidente della Federal Reserve è molto controversa. In base alle norme vigenti e a una sentenza della Corte Suprema del maggio 2025, i membri di agenzie indipendenti possono essere rimossi solo per giusta causa, definita come frode o gravi inadempienze. La semplice divergenza sulla politica monetaria non è sufficiente. Peter Conti-Brown, professore alla Wharton School dell’Università della Pennsylvania, ha dichiarato al New York Times che le accuse di Trump sono infondate e che “è chiaro a tutti che il presidente non è realmente preoccupato della gestione del progetto di ristrutturazione, ma vuole tassi più bassi.”
La tensione si riflette anche nei mercati. Dopo le dichiarazioni di Trump, il dollaro ha perso brevemente l’1% contro l’euro, prima di recuperare. I rendimenti dei titoli trentennali statunitensi sono saliti fino al 5,07%, poi rientrati. Anche l’oro, bene rifugio, ha guadagnato lo 0,74%, mentre gli indici azionari di Wall Street hanno registrato cali temporanei.
Molti osservatori ritengono che Trump stia cercando di mettere pressione sulla Fed più per ragioni politiche che economiche. La rimozione di Powell servirebbe a trovare un capro espiatorio per le difficoltà dell’amministrazione sul fronte dei tassi e a spostare l’attenzione da altri dossier sensibili, come l’affaire Epstein.
Nel frattempo, alcuni repubblicani al Congresso mettono in guardia contro le conseguenze di un eventuale licenziamento. Il senatore John Kennedy della Louisiana ha affermato che “licenziare il presidente della Fed farebbe crollare il mercato azionario e quello obbligazionario.” Thom Tillis, senatore della Carolina del Nord, ha parlato di “errore colossale” e di un colpo all’indipendenza della banca centrale.
La Casa Bianca non ha commentato ufficialmente sull’esistenza della bozza di lettera di licenziamento, che secondo diverse fonti sarebbe stata redatta da William J. Pulte, direttore della Federal Housing Finance Agency e critico accanito di Powell. Pulte ha rilanciato le accuse di frode contro la Fed e ha chiesto di visitare il cantiere per verificare i conti. In parallelo, l’amministrazione ha sostituito tre membri della National Capital Planning Commission – organo con funzioni di supervisione sul progetto di ristrutturazione – con funzionari fedeli alla Casa Bianca.