Trump in Medio Oriente punta sulla diplomazia economica
Durante il suo primo viaggio all’estero del secondo mandato, il presidente statunitense visita Arabia Saudita, Qatar ed Emirati Arabi Uniti, tra promesse di investimenti, dossier geopolitici delicati e accuse di conflitto d’interessi.

Il presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha iniziato ieri la sua prima missione diplomatica internazionale del secondo mandato, con una tournée in Medio Oriente che prevede tappe in Arabia Saudita, Qatar ed Emirati Arabi Uniti. Il viaggio si presenta come una dimostrazione di quella che il presidente definisce diplomazia transazionale, fondata su scambi economici e promesse di investimenti anziché sulla pressione militare.
I tre paesi del Golfo visitati da Trump avrebbero già promesso investimenti per centinaia di miliardi di dollari negli Stati Uniti. Tuttavia, al centro delle polemiche è finito un aereo del valore di 400 milioni di dollari, che il Qatar ha offerto al presidente come dono personale, destinato eventualmente alla sua futura biblioteca presidenziale. L’iniziativa è stata difesa pubblicamente da Trump, che ha descritto il gesto come “molto bello” e ha ironizzato sul fatto che solo “una persona stupida” rifiuterebbe un regalo del genere.

L’offerta dell’aereo ha sollevato dubbi etici anche tra i sostenitori repubblicani, con personalità come Ben Shapiro che hanno sottolineato la disparità di reazioni se protagonisti dell’episodio fossero stati membri della famiglia Biden. Secondo quanto riportato dalla stampa americana, il Department of Justice avrebbe validato l’operazione sul piano etico.
Accanto al caso dell’aereo, altri elementi sollevano interrogativi su potenziali conflitti d’interesse: la società di criptovalute World Liberty Financial, controllata dalla famiglia Trump, dovrebbe essere impiegata in operazioni per 2 miliardi di dollari con il gruppo emiratino MGX, legato al potere di Abu Dhabi.
Il senatore democratico Chris Murphy ha definito l’intero quadro “un livello straordinario di corruzione”, annunciando l’intenzione di bloccare al Congresso ogni vendita di armi a paesi coinvolti in affari che avvantaggiano personalmente il presidente. Secondo Murphy, Trump sarebbe disposto a concedere concessioni strategiche in cambio di benefici economici personali, come la rimozione delle restrizioni sull’export di microprocessori verso gli Emirati o il sostegno allo sviluppo di un programma nucleare civile in Arabia Saudita.
Il viaggio non è solo economico. Il presidente deve confrontarsi con dossier geopolitici centrali, tra cui il programma nucleare iraniano, l’instabilità in Yemen e la guerra nella Striscia di Gaza. In quest’ultimo caso, l’amministrazione Trump ha negoziato direttamente con Hamas per ottenere la liberazione dell’ultimo cittadino statunitense detenuto a Gaza, Eden Alexander. L’iniziativa ha tenuto fuori dai negoziati il primo ministro israeliano Benyamin Nétanyahou, che secondo Washington non starebbe facendo abbastanza per ottenere il rilascio dei propri connazionali.
La decisione di non includere Israele tra le tappe del viaggio è significativa. Trump continua a sostenere il governo israeliano, ma lo tratta come un partner tra gli altri, da cui si attende risultati tangibili. Le recenti azioni di Nétanyahou – l’insistenza sul confronto con l’Iran, le operazioni militari in Siria, il rifiuto di soluzioni politiche per Gaza – hanno contribuito a un certo raffreddamento nei rapporti. Il presidente americano ha persino ventilato la possibilità di revocare le sanzioni contro il regime siriano post-Assad, in nome di un “nuovo inizio”.
In parallelo, l’amministrazione Trump ha intensificato i contatti con l’Iran. Dopo quattro incontri diplomatici a Oman, resta aperta la questione delle centrifughe per l’arricchimento dell’uranio. Trump ha evocato due opzioni: “esploderle dolcemente o esploderle in modo brutale”, dichiarando che devono comunque sparire. In un’intervista con Hugh Hewitt, ha auspicato un sistema di “verifica totale”, rivendicando la competenza di esperti del Massachusetts Institute of Technology.
Il principale artefice della strategia mediorientale è Steve Witkoff, imprenditore e amico del presidente, ora incaricato ufficialmente come inviato speciale. In un’intervista al sito Breitbart, Witkoff ha definito il programma nucleare iraniano una “questione esistenziale”, chiedendo lo smantellamento completo dei siti di Natanz, Fordow e Isfahan. Ha escluso dal discorso la centrale di Bushehr, priva di centrifughe, ma ha ribadito che non vi può essere alcuna forma di arricchimento dell’uranio in Iran.
Witkoff sostiene che Teheran si trovi in una posizione di debolezza rispetto al 2015, anno in cui fu firmato il Joint Comprehensive Plan of Action (JCPoA), poi abbandonato dalla stessa amministrazione Trump nel 2018. Ora, secondo il suo inviato, “non hanno scelta”, se non quella di accettare le condizioni statunitensi.
Nel frattempo, Trump non ha escluso un passaggio a Istanbul per presenziare a un possibile incontro tra Russia e Ucraina il 15 maggio, nel tentativo di avviare un dialogo di pace. Solo il presidente ucraino Volodymyr Zelensky ha confermato la sua partecipazione. Trump ha affermato: “Penso che entrambi i leader saranno lì”.