Trump ed il ritorno di Project 2025: il piano rinnegato in campagna elettorale diventa realtà

Dopo aver più volte respinto ogni legame con “Project 2025”, il controverso manifesto politico promosso dalla Heritage Foundation, Donald Trump ha avviato il suo secondo mandato presidenziale con una serie di provvedimenti che paiono riflettere proprio quei principi che egli stesso aveva definito “ridicoli” in campagna elettorale.
A pochi giorni dal suo insediamento, infatti, come fa notare una analisi pubblicata dal settimanale TIME, una parte consistente delle azioni esecutive firmate dalla Casa Bianca ricalca quasi alla perfezione alcune linee guida del documento lungo novecento pagine, che era stato pensato per ridisegnare in chiave conservatrice l’assetto dello Stato federale.
Il progetto, presentato originariamente come un vademecum per l’ipotetica vittoria di un candidato repubblicano, propone riforme incisive in materia di immigrazione, deregolamentazione, riduzione dell’apparato statale e rivalutazione degli impegni internazionali.
Sebbene in campagna elettorale Trump si fosse pubblicamente discostato con forza da queste idee, parlando di posizioni “inaccettabili”, i fatti dimostrano invece un parziale allineamento.
Nei primi giorni del suo mandato Trump ha infatti firmato una lunga serie di ordini esecutivi che mirano a ridurre il numero di rifugiati accolti negli Stati Uniti e ad ampliare i poteri delle forze dell’ordine al confine; la Casa Bianca ha perfino ordinato il dispiegamento della Guardia Nazionale in operazioni di sorveglianza e sostegno all’Immigration and Customs Enforcement (ICE).
Si tratta di tutte previsioni già presenti nel capitolo dedicato alla lotta contro l’immigrazione clandestina del ProjAct 2025.
Ma non è finita certo qui: dal punto di vista ambientale, la nuova Amministrazione ha confermato di non voler perseguire politiche di riduzione delle emissioni e ha annunciato l’uscita dagli Accordi sul Clima di Parigi, richiamando anche in questo caso, in modo diretto, le tesi del Project 2025, secondo cui determinati impegni internazionali frenerebbero la crescita economica e lederebbero la sovranità americana.
Queste azioni, unite alla forte spinta per espandere le trivellazioni in Alaska e frenare lo sviluppo eolico offshore, marcano un deciso ritorno all’approccio “America First” in ambito energetico, sostenuto proprio dalla cerchia di esperti che ha lavorato – spesso dietro le quinte – alla stesura del documento della Heritage Foundation.
Anche sul piano della riorganizzazione del governo federale, Trump ha subito rilanciato la cosiddetta “Schedule F”, la norma che rende più agevole il licenziamento di funzionari pubblici, mettendo così a rischio il posto di lavoro di migliaia di dipendenti pubblici se non si dimostreranno abbastanza fedeli all’ideologia della nuova Amministrazione.
Il progetto della Heritage Foundation caldeggiava una strategia analoga, lamentando l’eccessiva influenza di un “apparato burocratico” poco allineato agli interessi dell’Esecutivo.
L’obiettivo dichiarato è ridare maggiore centralità alla figura del Presidente, ma i detrattori, soprattutto tra i democratici, leggono in questi provvedimenti l’intento di politicizzare la macchina statale e mettere a rischio l’imparzialità di molte agenzie federali, dall’istruzione all’ambiente.
Altre iniziative riguardano temi cari ai conservatori nella cosiddetta “guerra culturale”: le misure di tutela per la comunità transgender introdotte nel quadriennio precedente sono state nuovamente revocate, e sono state smantellate o fortemente ridotte le politiche sulla diversità e l’inclusione all’interno delle strutture federali.
Qui il parallelismo con Project 2025 è ancora più evidente: il documento incoraggiava una netta distinzione fra identità di genere e sesso biologico, giudicando “eccessive” le disposizioni che tutelano le minoranze in ambito lavorativo e militare.
Sul fronte estero, l’Amministrazione si sta muovendo all’insegna di un ritrovato isolazionismo: dagli Stati Uniti è partito il ritiro formale dall’Organizzazione Mondiale della Sanità e i fondi destinati alla cooperazione internazionale hanno già subìto un forte ridimensionamento.
Anche questa postura rientra nella visione promossa dal documento conservatore, che prevedeva un drastico taglio degli impegni multilaterali “non indispensabili” per la difesa degli interessi americani.
Nel frattempo, vanno registrate nomine strategiche ai vertici di enti e commissioni federali, che coinvolgono proprio alcune figure chiave del gruppo di lavoro che redasse Project 2025.
Tra questi spiccano esponenti di spicco come Russell Vought e Brendan Carr, cui sono stati affidati incarichi di primo piano nell’esecutivo.
La tempistica ha destato non pochi sospetti tra gli oppositori, convinti che la vicinanza di Trump e del suo staff all’apparato conservatore sia stata sottovalutata dagli elettori, ingannati dalle dichiarazioni apparentemente scettiche sui contenuti del piano.
I sostenitori del Presidente, dal canto loro, sottolineano che gran parte delle misure varate risponde alle promesse fatte in campagna elettorale di ridurre le tasse, frenare l’immigrazione e rilanciare la produzione nazionale di energia.
Secondo questa visione, l’adozione di alcuni spunti tratti da Project 2025 sarebbe casuale oppure frutto di una convergenza naturale di ideali conservatori, più che di un’adesione vera e propria al piano.
Resta tuttavia la sensazione che le linee politiche della nuova Amministrazione si stiano limitando a concretizzare un modello teorizzato da tempo negli ambienti conservatori americani.
In tale contesto, è molto probabile che la vicinanza tra questa Amministrazione e il documento della Heritage Foundation si farà sentire ancora di più nei prossimi mesi quando la nuova maggioranza repubblicana al Congresso dovrà legiferare in materia di tagli alle tasse, assistenza sociale e infrastrutture.