Trump e lo "strano" ottimismo europeo sul fronte ucraino

La nuova presidenza di Donald Trump sta suscitando una miscela di apprensione e speranza nelle capitali europee. Da un lato, le sue minacce di aprire fronti commerciali ostili, il rinnovato interesse per la Groenlandia e il sostegno a forze politiche di ultra destra non lasciano dormire sonni tranquilli a molti leader del Vecchio Continente.
Dall’altro, vi è però un tema che, in maniera inattesa, sta generando un cauto ottimismo: la guerra in Ucraina.
Le pressioni di Trump su Vladimir Putin, culminate in annunci di possibili nuove sanzioni e dazi contro Mosca in caso di mancato accordo, lasciano intravedere a diversi osservatori europei la possibilità che, alla fine, il nuovo presidente americano possa alla fine mantenere il punto e non “cedere” l’Ucraina al Cremlino.
Una linea ferma sull’Ucraina?
La sorpresa nasce dalla retorica muscolare che Trump ha adottato nei confronti della Russia sin dai primi giorni del suo insediamento.
Le minacce di varare nuovi dazi su beni russi ed espandere il regime sanzionatorio in caso di perdurare del conflitto intendono mandare segnali chiari e forti a Mosca ed, indirettamente, rassicurare alcuni alleati europei da tempo preoccupati che, con il ritorno di Trump alla Casa Bianca, Putin avrebbe riguadagnato terreno.
Lo stesso ex vicepresidente Mike Pence, non certo privo di critiche nei confronti del suo ex boss, ha spiegato che, stando alla sua esperienza personale, “il presidente Trump non tollera l’idea di apparire debole” e, che perciò, secondo lui, sarebbe pronto a ritirarsi dal tavolo negoziale qualora Putin insistesse su richieste irricevibili.
Il precedente del 2019, quando Trump abbandonò un summit con il leader nordcoreano Kim Jong Un senza alcun accordo, viene spesso citato dai sostenitori di Trump come prova che, di fronte a un “cattivo affare”, l’allora presidente al suo primo mandato non aveva esitato a tirarsi indietro.
Oggi, questo stesso modus operandi potrebbe ripetersi nei colloqui con il Cremlino. D’altronde, come sostengono diverse fonti vicine all’Amministrazione, a Trump non farebbe certo piacere passare alla storia come “colui che ha perso l’Ucraina”.
Il ruolo di NATO e spesa militare
Un altro fattore che infonde fiducia a una parte delle cancellerie europee è l’inedito slancio verso l’aumento delle spese militari da parte dei Paesi membri della NATO. Già nel 2018, Trump aveva premuto affinché tutti rispettassero il tetto del 2% del PIL, stabilito inizialmente dall’Alleanza nel 2014.
Ora il presidente americano è arrivato addirittura a invocare un 5%, una soglia che quasi nessun governo europeo è in grado di raggiungere al momento; ma il semplice annuncio dimostra già il fatto che Trump considera la NATO un pilastro imprescindibile per la sicurezza nazionale americana.
Per tutto questo, diversi osservatori europei ritengono che, sul dossier Ucraina, egli possa mantenere una linea più solida di quanto i più scettici si aspettassero.
Molti tra loro rilevano inoltre la presenza, nella nuova squadra di Trump, di figure apertamente considerate come “falchi” nei confronti di Mosca, come il Consigliere per la Sicurezza Nazionale Mike Waltz e il Segretario di Stato Marco Rubio.
Allo stesso tempo, però, va detto che la nuova Amministrazione è costituita anche da esponenti apertamente scettici sull’invio di ulteriori aiuti all’Ucraina. Tra questi, spicca il vicepresidente JD Vance, in passato molto critico sui finanziamenti militari a Kyiv, in nome di una maggiore concentrazione su altre sfide geopolitiche, in primis la Cina.
Inoltre, se da un lato, a differenza del primo mandato, Trump oggi non deve più difendersi dalle ombre del “Russiagate” – l'indagine sulle interferenze russe nelle elezioni del 2016 – è anche vero che, secondo vari analisti, egli non interpreta la guerra in Ucraina attraverso la lente della difesa della democrazia.
A differenza dell'ex presidente Joe Biden, che aveva inquadrato il conflitto in Ucraina come una battaglia cruciale tra sistemi di valori, Trump potrebbe invece considerarlo un problema minore regionale da risolvere in tempi rapidi, con il rischio di privilegiare soluzioni affrettate che non garantiscano la sovranità ucraina nel lungo periodo.
Sul fronte strategico, analisti e diplomatici europei temono, inoltre, che qualsiasi accordo che ponga fine alle ostilità possa di fatto concedere alla Russia lo spazio per riprendersi e riorganizzarsi, senza offrire reali garanzie di sicurezza per l’Ucraina.
In tal senso, la vera posta in gioco, come ripetono molti osservatori vicini a Bruxelles, è evitare che un “cessate il fuoco” temporaneo diventi solo l’anticamera di una nuova escalation bellica che potrebbe espandersi al resto del continente. L’unica certezza è che la direzione di marcia di Trump – sempre tesa a sorprendere – continuerà a tenere tutti con il fiato sospeso.